Cauto e silenzioso, il gatto selvatico europeo (Felis silvestris) è il vero e proprio fantasma dei nostri boschi: difficile scorgerne le tracce, quasi impossibile avvistarne uno.

Scaltro ed eccezionalmente schivo anche a causa di secoli di sterminio da parte dell’uomo, che ne considerava nociva la sua presenza (nonostante gli attacchi ad animali da cortile di piccola taglia siano rarissimi), è un avvistamento rarissimo anche per gli studiosi di fauna più accaniti. Il suo areale è inoltre enormemente frammentato a causa della distruzione progressiva e dell’eccessiva antropizzazione del suo habitat (le foreste decidue).
Predilige foreste poco frequentate dall’uomo – come dicevamo – con formazioni rocciose, evitando però zone aperte e quote elevate con neve persistente che rappresentano per lui dei fattori limitanti anche se, in condizioni particolarmente favorevoli, può arrivare anche a colonizzare territori a 1500 metri di quota.
Pesa tra i 4 e gli 8 kg (la femmina è di taglia inferiore). Citando le parole di Marco Catellodel Progetto Lince Italia riportate da Galileonet.it: “Presente in diversi aree del vecchio continente, la popolazione di questa specie si può suddividere in cinque metapopolazioni (popolazioni più piccole e geneticamente simili tra loro). In Germania, per esempio, un recente studio ha stimato una popolazione di 5000-7000 individui. Di queste cinque metapopolazioni, due sono presenti sul territorio italiano: la popolazione appenninico-siciliana e quella del Nord Italia che ha derivazione balcanica e viene quindi associata a quella presente nei territori dell’Est Europa. Forse esemplari provenienti dalla metapopolazione francese sono presenti in Liguria e Piemonte. Le altre due popolazioni sono quella iberica e quella tedesca della bassa Sassonia. La popolazione scozzese invece non è più considerata geneticamente pura, dato che gli ibridi con il gatto domestico hanno superato livelli di oltre il 90%”.
Il gatto selvatico europeo non è come si pensa comunemente l’antenato selvaggio del nostro gatto domestico (Felis catus). Il nostro amico d’appartamento infatti è il nipote del meno sospettoso Felis lybica, il gatto selvatico africano, di cui gli antichi Greci e Romani riportarono (probabilmente trafugandoli dall’Egitto dove in un certo periodo storico erano addirittura considerati animali sacri) in Europa meridionale diversi esemplari già addomesticati.
Sono dunque tre specie distinte, anche se tra loro si possono accoppiare e generare ibridi fertili.
Il gatto selvatico si distingue dal comune gatto domestico europeo – il cosiddetto “gatto tigrato”, per intenderci – per un pelo più folto che gli dona un’aria più massiccia e soprattutto per la particolare conformazione delle striature del mantello che su un fondo giallo ocra presenta due bande nere nella zona delle scapole, ben definite, e una che corre lungo la spina dorsale che non si congiunge mai con i cosiddetti disegni evanescenti (le altre linee e macchie meno marcate ai lati del corpo), a differenza del gatto domestico. Inoltre sono molto caratteristici e di più semplice individuazione gli anelli concentrici ben definiti alla fine della coda, a sua volta detta “clavata”, grossa e tozza.
È animale solitario, territoriale, che caccia di notte supportato da una vista, un udito e un olfatto eccezionali. Si ciba di artropodi , piccoli rettili, uccelli ma in particolar modo di roditori, anche se esemplari particolarmente forti ed esperti si spingono anche a caccia di lepri a volte.
Nel periodo dell’accoppiamento il maschio, attirato dai feromoni delle femmine, entra nell’areale delle femmine e marca il territorio con la propria urina. Pare che sia proprio l’odore di questa a far decidere la femmina se e a chi concedersi, infatti più l’odore è penetrante più il maschio ha prodotto felinina che è direttamente proporzionale ad una dieta completa, abbondante e varia. Sinonimo dunque di un maschio sano, forte e buon cacciatore.
La femmina mette alla luce dai 2 ai 5 piccoli, generalmente tra fine marzo e maggio, che restano con lei circa sei mesi.
Poi, se non vittime di lupi, cani randagi, rapaci o incidenti stradali, cominciano la loro esistenza da solitari e si allontanano per cercare un proprio territorio.
Curiosità:
Elusivo come pochi altri animali, sino a pochi anni fa era una vera impresa compiere studi scientifici approfonditi su esemplari in natura. Uno stratagemma curioso utilizzato dal 2006 ha accelerato la conoscenza delle caratteristiche genetiche di questo animale. La valeriana (Valeriana officinalis), pianta erbacea che molti di voi conosceranno più che altro sotto forma di tisana, è chiamata nella tradizione popolare “erba dei gatti”. Pare infatti che l’odore della valeriana sia irresistibile per molti felini che sentono il bisogno impellente di strusciarcisi contro! Alcuni scienziati hanno dunque posizionato nel bosco alcuni paletti impregnati di aroma di valeriana per poi prelevare con facilità in seguito i peli che il gattone aveva lasciato strofinandosi sul pezzo di legno.
Per approfondimenti: Paolo Rossi ci racconta la sua ricerca del gatto selvatico in Liguria QUI
La foto di copertina è tratta da “Paesaggi Bestiali” di Marco Colombo. La sua intervista QUI
Fonti e ispirazione:
– L. Canalis, I Mammiferi della Alpi, Blu Edizioni-
-Pronatura.ch
-Galileonet.it