Prologo
Non ho una grande memoria. O perlomeno diciamo che non è la mia specialità. Se devo spremermi le meningi e ricordare qualcosa della mia infanzia, di quando avevo sei o sette anni all’inizio degli anni ‘80, i ricordi chiari e vividi sono una manciata ; mia madre che mi asciuga i capelli e poi mi manda a guardare i cartoni animati, il primo giorno dell’asilo, quella volta che mi hanno permesso di fare il bagno anche se il mare era mosso, il mio bob rosso fiammante, Gentile che picchia Maradona in tv… non sono poi così tanti ma almeno tre riguardano il lupo. Il che è strano se ci penso bene.
C’è ovviamente Cappuccetto Rosso. Ha traumatizzato intere generazioni e io non ne sono esente. Non c’è bisogno dilungarsi troppo.
Sono seduto di fronte alla piccola televisione in salotto, c’è la “pubblicità dei film”, sento la voce di mio padre “non guardarlo questo che fa paura”. Bene io sono un bambino quindi non voglio avere paura e mi metto le mani davanti agli occhi; ma, siccome sono un bambino, ovviamente poi le dita le apro. Avete presente quando in “Un Lupo Americano a Londra” la bestia sfonda la saracinesca del cinema in centro a Londra? Ecco, io ho aperto gli occhi in quel punto, con la faccia a un metro dallo schermo, con il lupo mannaro che usciva praticamente dalla televisione. Sono stato zitto per un minuto poi ho pianto per due ore disperato.
Il mio primo cane – cioè proprio mio, non dei miei genitori – è stato un Pastore tedesco. Enorme. Un colosso. Quando mi hanno chiesto come volevo chiamarlo ho risposto “Leo” – in realtà avrei voluto chiamarlo Kimba (il leone bianco dei cartoni animati) ma su due piedi non mi è venuto il nome – come detto la memoria non è mai stata la mia specialità. Però ricordo perfettamente quando mia nonna ha affermato con autorità “l’è propri un lupo!”. Sono cresciuto con quel cane e con la certezza mai confidata ad alcuno che fosse proprio così e ho smesso di avere paura del lupo (non dei licantropi, quella l’ho ancora) e ho maturato crescendo l’irrefrenabile voglia, quasi una necessità, di incontrarne prima o poi “uno vero”.
Con queste premesse trent’anni dopo mi accingo a scendere in Abruzzo pieno di speranze. Siamo in sei, garanzia di divertimento e grandi bevute serali ma numero poco consono per spostarsi silenziosi nel bosco cercando di sorprendere un animale che non ha cinque sensi ma dei superpoteri…
Non mi preoccupo più di tanto, ho questa convinzione fanciullesca che non posso non incontrarlo, la stessa di quando una volta all’anno gioco al superenalotto sicuro di vincere (non è mai successo). Siamo una grande squadra e ce la faremo.
Capitolo primo
Dopo una partenza notturna per evitare la coda del ponte del primo maggio con tappa pisolino a Rimini, molte ore in auto e qualche birra arriviamo a Civitella Alfedena un paesino di duecento anime che si trova nella parte a est del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Molliamo i bagagli nella bella casetta che ci ospiterà per due notti e ci avventuriamo nei dintorni, il sentiero è pieno di impronte di cervi e caprioli; raggiungiamo un punto panoramico con vista sul Lago di Barrea. Montagne selvagge con paesini incastrati sopra. Ci siamo, è proprio lo scenario che mi sono ricreato nel mio personale film che dura da decenni…
Dopo aver preso in pieno un temporale fantozziano, la sera incontriamo al bar Pietro, la nostra guida. Ci si accorda per la levataccia alle cinque del mattino. Ci chiede cosa ci interessa avvistare, rispondiamo sicuri come se fosse facile e scontato “lupi e orsi!”. “Purtroppo” ci dice “è quasi una settimana che i lupi in zona non si fanno vedere e abbiamo avuto un inverno molto lungo e gli orsi non sono ancora usciti tutti…”
Che fai metti le mani avanti? – “ma vedrete che con un po’ di pazienza e fortuna qualcosa incontreremo” aggiunge. Ecco ora ragioniamo. Mentre lo dice poi noto un lampo nel suo sguardo. Sembra saperla lunga questo Pietro.
Capitolo secondo
Cinque e mezza del mattino. Stipati e stravolti (ci sono due campioni mondiali del russare nel gruppo – uno sono io l’altro dorme con me) partiamo con la jeep verso la valle che corre sotto di noi. Tre curve e incrociamo due cervi illuminati dai fari, altri duecento metri ed eccone spuntare dal bosco altri quattro e poi ancora. Sembra di stare al Gardaland degli ungulati. So che è abbastanza macabro come pensiero ma il collegamento che faccio in automatico è “il lupo mangia i cervi, ci sono tanti cervi ci saranno tantissimi lupi!”
Parcheggiamo lungo la strada e andiamo a posizionarci dietro a dei teli mimetiche sistemati da Pietro la sera prima. Ci dice che un branco attraversa spesso questa lingua verde che corre tra le montagne per spostarsi da un bosco all’altro all’alba o al tramonto. Rimaniamo lì qualche ora ma avvistiamo solo una rana nel prato e un cinghiale pasciuto e pacifico in lontananza. Tornati in auto passiamo la mattina spostandoci da un punto all’altro facendo attenzione ai prati circostanti in cui pare siano stati visti diverse volte gli orsi. Nulla di fatto.
Dopo un pranzo interessante si decide di salire a piedi verso le cime alle nostre spalle. Sono 800 metri di dislivello, Pietro ci racconta delle piante caratteristiche del bosco e sale come uno stambecco, noi siamo un po’ meno sciolti ma teniamo duro e arriviamo in cima. A quel punto voglio morire ma il pomeriggio ci riserverà due sorprese fantastiche che mi tonificheranno i muscoli e la mente. Il camoscio appenninico e sua maestà l’orso marsicano. Il racconto completo di questi due incontri memorabili potete leggerlo qui.
Del lupo nemmeno l’ombra ma ovviamente scendiamo con l’entusiasmo a mille. La mia fiducia nei confronti di Pietro è cresciuta ancora dato che quando abbiamo avvistato la famiglia di orsi era esaltato quanto noi che non ne avevamo mai visto uno in vita! Si capisce che non è solamente un lavoro per arrivare a fine mese il suo.
E infatti non si risparmia, prima di risalire a Civitella, ci convince a tornare appostati nella piana fino al calar del sole. Un capriolo e nulla di più. Al ritorno verso la jeep però ci imbattiamo nelle ossa di un cervo. Bianche e pulite dai giorni e dagli spazzini sono sicuramente lì da tempo ma è la prima prova provata. Il lupo c’è (e mi convinco che ci stia osservando nascosto tra gli alberi).
La sera a cena si brinda all’orso con copiose quantità di vino rosso che non agevoleranno poi la sveglia alle cinque meno un quarto.
Capitolo terzo
Pietro da buon maestro severo non accetta scuse. Si parte con il buio alla conquista del Monte Meta. Passiamo tra branchi di cervi come fossimo nella savana, incrociamo nel bosco una volpe abituata all’uomo (e ai suoi panini evidentemente) che ci viene incontro e si mette in posa per le foto di rito.
In vetta la straordinaria vista è impreziosita dallo spettacolo dei giovani camosci che giocano nella neve.
Qui tutto il report della nostra avventura sul Monte Meta
Un’altra carcassa, è di un camoscio. Troppo pulita per essere recente. Impronte di lupo. Attraversano la neve. Un lupo, non un cane. Il lupo è deciso, sa quello che deve fare. Un cane si ferma annusa, gira in tondo, gioca, torna indietro. Questa è una linea perfettamente dritta con le impronte ad ugual distanza le une dalle altre, segni che danno la misura della forza e della sicurezza di questo animale leggendario.
100 metri dopo Lorenzo nota delle feci piene di peli. Un lupo poche ore prima è passato certamente di qui. Non sono mai stato così emozionato di trovare una cacca in vita mia.
Condividere un luogo, uno spazio con il predatore più famoso dei nostri boschi da una sensazione quasi inebriante… come entrare nel camerino di Jimi Hendrix insomma, lui non sa assolutamente chi sei perché non conti nulla ma quando poi ne esci (o ti sbattono fuori) ti senti anche tu un po’ rockstar…
Tornando a valle la volpe ci rallegra ancora con la sua presenza, per una volta mi rammarico della nostra regola ferrea di non dare cibo agli animali selvatici perché si mette proprio d’impegno a farci fare delle belle foto!
L’escursione è stata fantastica ma dentro di me comincio a sentire il ticchettare sinistro dell’orologio… l’indomani è fissata la nostra partenza e abbiamo solo un pomeriggio per coronare il mio desiderio morboso…
Si va a pranzo e si discute sul programma della giornata. Pietro propone di ritornare nella piana del giorno prima ad appostarci ma la maggioranza del gruppo con mia grande disapprovazione chiede di esplorare nuovi luoghi.
Ci si sposta in un’altra zona dove a volte sono stati avvistati lupi. Boschi, campi, colline verdi; E’ un paesaggio quasi fiabesco (da quelle non a caso parti hanno girato alcune scene di Lady Hawke, quel film che danno sempre a Natale con una Michelle Pfeiffer atomica e con Rutger Hauer che di notte diventa lupo…).
Camminiamo in silenzio in questo saliscendi verde smeraldo sperando di sorprendere qualche animale ma nulla a quattro zampe (ci sfrecciano però di fronte un upupa e una bella averla cinerina!)
Dopo quaranta minuti sostiamo armati di binocoli su un dirupo che guarda ancora alla nostra valle dei lupi. “Da qui messere si domina la valle” ma dopo un’ora ancora nulla. Però vedo Pietro sul chi va là, ha sentito i cani di una fattoria a qualche chilometro abbaiare insistentemente. Segno che qualcosa sta succedendo. Luca e Davide si mettono di vedetta coi binocoli ma senza successo.
Epilogo
Siamo di nuovo in auto, ora sono seriamente deluso visto che la strada è quella verso casa e che il sole sta calando.
Pietro nei pressi del solito prato accosta e accenna “facciamo un ultimo tentativo!”. Grande Pietro. Saliamo di una ventina di metri per avere una visuale migliore. Tra di noi la strada, il torrente, il lungo campo e infine i boschi che si arrampicano sulla montagna.
Passano i minuti, il ticchettare adesso è un frastuono. Scende il sole e anche la temperatura, un mio compare se ne torna in auto stanco e infreddolito; è ora di andare; dico a Ivan più come battuta per prendere tempo che altro “vedrai che ora che Max è andato a dormire in macchina saltan fuori tutti”. Proprio Ivan, alle mie spalle, poco dopo esclama “ in fondo a sinistra è un capriolo o cosa?” Pietro si volta, mette a fuoco ed esplode “Lupi! Lupi!!!”
Ci metto diversi secondi a capire dove e come attraverso l’obiettivo della reflex che uso al posto del binocolo… un lupo, anzi due in fondo a sinistra… no eccone altri. Ivan grida “sono sei sono sei”.
L’intero branco. Ci è sceso alle spalle, ha attraversato la strada in silenzio, come fossero fantasmi e ora è davanti a noi che procede al piccolo trotto nella spianata. C’è poca luce, sono molto lontani, li perdo e li riprendo. Si radunano sembra per mangiare qualcosa non capisco. Segnano il territorio. Uno che pare più chiaro degli altri viene nella nostra direzione, sembra puntare qualcosa, sparisce in una depressione del terreno… ritornano insieme in fila indiana. Alcune macchine si fermano a bordo strada di certo la nostra eccitazione non passa inosservata! “cosa c’è?” “lupi, lupi là in fondo!”
Poco dopo il branco si fa inghiottire dall’oscurità e dal bosco…
Compare anche Max “li ho visti li ho visti!”
Tutto pazzesco. Grandioso. Memorabile.
Non ho più nulla da chiedere a questo strabiliante Abruzzo.
Fino alla prossima volta. Ormai ho assaggiato la droga del lupo e non ne posso più fare a meno.
Delmiele Tasso – Foto Ale Zoc
Foto di copertina Adobe Stock
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