Ogni bella storia ha il suo lieto fine, e la storia degli avvoltoi in Italia ha un passato lungo e travagliato, di scomparse e ritorni, che termina proprio con un bel finale (almeno per alcune specie).
In Italia sono presenti le quattro specie di avvoltoi europei: il grifone (Gyps fulvus), il capovaccaio (Neophron percnopterus), il gipeto (Gypaetus barbatus) e l’avvoltoio monaco (Aegypius monachus). Solo di recente, in alcune aree dell’Europa meridionale, tra cui la Sicilia, sono diventati stanziali pochi e isolati individui di avvoltoio di Ruppel (Gyps rueppelli), arrivato dall’Africa, il “quinto” nuovo arrivato in Europa.
Gli avvoltoi sono animali particolari, forse i più bizzarri tra gli uccelli rapaci, e le specie europee e asiatiche, i cosiddetti avvoltoi del Vecchio Mondo, condividono oggi uno stato di conservazione piuttosto sfavorevole. Ciò che rende questo gruppo di grandi uccelli particolarmente vulnerabili, e quindi specie a rischio, è proprio l’estremo adattamento da mangiatori di carogne. Gli avvoltoi sono infatti necrofagi obbligati, e si nutrono esclusivamente (o quasi) di carcasse di animali morti in precedenza.
Seppur molto adattabili in termini di habitat e contesto ambientale, gli avvoltoi sono specialisti e occupano quindi una nicchia ecologica molto ristretta, svolgendo un ruolo fondamentale nella catena alimentare degli ecosistemi naturali. Ad eccezione del gipeto, che si nutre sulle Alpi principalmente di carcasse di ungulati selvatici (eppure quanto gli è nuociuta in passato la fama – del tutto ingiustificata – di sterminatore di agnelli, da cui anche il soprannome di avvoltoio degli agnelli!), come stambecchi e camosci, le altre specie di avvoltoi europee sono fortemente legate alla presenza di bestiame allo stato brado e di carcasse di animali domestici. Vacche, cavalli, pecore, sono il principale alimento degli avvoltoi dell’Italia centro-meridionale. Così, con la diminuzione e la scomparsa delle attività di pascolo brado, avvenuta nella metà del secolo scorso, molte popolazioni di avvoltoi si sono ridotte drasticamente.
Ma la carenza di cibo non è l’unica minaccia per gli avvoltoi in natura: avvelenamento e bracconaggio, di cui spesso i rapaci sono vittime indirette, sono un danno enorme per la sopravvivenza degli animali necrofagi. In Africa, con una singola carcassa avvelenata illegalmente, possono morire fino a 500 avvoltoi contemporaneamente. In Italia osserviamo chiaramente numeri molto ridotti, ma le carcasse e i bocconi avvelenati, destinati a lupi e volpi, uccidono ogni anno decine di grifoni e capovaccai, e le intossicazioni da piombo (saturnismo) sono una minaccia per il gipeto sulle Alpi.
Infine, c’è l’antropizzazione, che divora e invade gli ecosistemi naturali: il disturbo antropico, la degradazione degli habitat ed impianti eolici e linee elettriche hanno un impatto enorme sulla mortalità degli avvoltoi, e più generalmente su tutti i grandi rapaci.
Eppure… alla fine di questa storia, rimane comunque speranza. Negli ultimi trent’anni gli sforzi di conservazione hanno dato molti risultati. Le reintroduzioni del gipeto sulle Alpi, accompagnate dalla naturale ricolonizzazione degli antichi territori da parte di individui provenienti da Francia e Svizzera, hanno portato dalle sole presenze sporadiche all’inizio degli anni Novanta, ad oltre 60 coppie nidificanti nel 2021 in tutto l’arco Alpino, con 44 involi registrati.

Il ritorno del gipeto è quindi un trionfo, che comprende tutta l’area alpina compresa tra le Alpi Marittime ad Ovest, il Gran Paradiso, le alpi piemontesi e lo Stelvio ad Est. Veder volteggiare questo maestoso signore dei cieli oggi non è più così eccezionale.
L’avvoltoio “più comune” in Italia è però il grifone: si è passati dagli anni Ottanta, in cui era vicino all’estinzione della specie, con pochissime coppie sopravvissute solo in Sardegna occidentale, ad oggi, con oltre mille individui stanziali su tutto il territorio nazionale. Con circa 150 giovani involati ogni anno e oltre 250 coppie nidificanti, tra la Sardegna, il Parco del Cornino, l’Appennino centrale, la Lucania e i monti Nebrodi in Sicilia, il grifone è tornato a ripopolare buona parte dell’antico areale di distribuzione.

Il ritorno di questo grande ed esigente avvoltoio gregario è avvenuto grazie ad ambiziosi progetti di restocking e reintroduzione in natura, e grazie ad una costante sorveglianza e vigilanza sul territorio, accompagnata dalla predisposizione e gestione di siti di alimentazione supplementari, i cosiddetti “carnai”. Nonostante siano tutt’oggi in uno status di conservazione sfavorevole in Italia, i grifoni sono oramai una presenza stabile sui cieli italiani, dalle coste alle vette più alte di Alpi e Appennini.
Ben diverso è purtroppo invece lo status del capovaccaio in Italia. È più piccolo e più elusivo rispetto agli altri avvoltoi, e ha abitudini sociali e trofiche molto particolari. Si riproduce in coppie solitarie e territoriali, ed è l’unico avvoltoio ad effettuare una migrazione obbligatoria dall’Europa all’Africa prima dell’inverno. È una specie opportunista, che ricerca non solo carcasse di grandi ungulati, ma anche insetti e resti animali di piccole dimensioni, e può alimentarsi di escrementi di mammiferi. In Italia si riproducono tra le dieci e le quindici coppie, tra la Puglia e la Basilicata sulla penisola, e la Sicilia settentrionale (leggi la storia dell’ultimo capovaccaio selvaggio d’Italia!). Da due anni una nuova coppia si è insediata sulla costa occidentale della Sardegna, attratta dalla presenza di una vicina colonia di grifoni e favorita dal programma di carnai aziendali in attivo nell’area di nidificazione.

Ed infine l’avvoltoio monaco, il più raro e minacciato tra gli avvoltoi italiani, animale oramai fugace e misterioso. Estinto da oltre cinquant’anni in Italia, la presenza di questo grande avvoltoio è principalmente legata agli spostamenti migratori dei grifoni in estate su tutto l’arco Alpino. Seguendo gli stormi di grifoni estivanti, infatti, alcuni avvoltoi monaci erratici si stabiliscono sulle Alpi italiane durante l’estate. Le osservazioni sono poche, ma costanti, e spesso legate alla presenza di ungulati, selvatici o domestici (spesso bovini), sui pascoli d’alta quota, principalmente sul versante piemontese confinante con la Francia, o alle risorse trofiche fornite regolarmente dai carnai attivi. Nel carnaio della Riserva Naturale Lago di Cornino sono regolari le osservazioni di diversi individui nel periodo compreso tra giugno e ottobre.

La storia degli avvoltoi italiani è quindi un alternarsi di luci e ombre: la presenza – in crescita significativa – del gipeto e del grifone, reintrodotti con successo, si contrappone alla fragilità del capovaccaio e all’estinzione di fatto dell’avvoltoio monaco.
Perché dunque tutti gli avvoltoi non sono uguali?
Malgrado le affinità e la sovrapposizione di nicchia trofica, le quattro specie di avvoltoi italiani sono molto diverse tra loro. Il grifone è molto adattabile, e popola una grande varietà di ambienti. Inoltre, la popolazione europea di grifone è in un buono stato di conservazione, soprattutto nella penisola Iberica, fonte inesauribile (o quasi) di individui che raggiungono l’Italia. Aver reintrodotto delle piccole popolazioni sulle Prealpi friulane, sugli Appennini e sulle isole, rende possibile un continuo flusso di individui tra Spagna, Francia, Croazia e Italia (dall’analisi delle riletture degli anelli di marcatura, e dai tracciati GPS degli individui monitorati, è evidente che i grifoni italiani siano in buona parte provenienti dalle popolazioni europee più numerose).
Il successo del grifone è quindi dovuto allo status globale favorevole della specie, e dalla sinergia dei progetti di reintroduzione e conservazione avvenuti in diverse aree dell’Italia contemporaneamente. Come specie sociale e gregaria, il grifone beneficia di grandi numeri di individui per la ricerca attiva delle carcasse sul territorio, e in questo senso, le grandi popolazioni insediatesi sono una certezza per i decenni a venire.
Analogamente, il gipeto sulle Alpi ha ricevuto grande attenzione e visto sforzi di conservazione notevoli nel corso degli ultimi trent’anni. Lavorando su vasta scala, tra Svizzera, Francia e Alpi italiane, sono state decine le liberazioni di individui reintrodotti. Il gipeto è inoltre strettamente legato alla presenza di stambecchi e camosci, in aumento negli ultimi decenni sui versanti delle valli alpine. L’alimentazione a base di ossa di ungulati selvatici lo rende indipendente dalle attività umane di pastorizia allo stato brado, e questo è un notevole vantaggio rispetto alle altre specie di avvoltoi.
Avvoltoio monaco e capovaccaio hanno certamente ricevuto negli anni meno “attenzione” e i progetti di conservazione in Italia si sono svolti solo su scala locale.
Nell’ambito del progetto del CERM (Centro Europeo Rapaci Minacciati), da oltre trent’anni, decine di giovani capovaccai vengono liberati in Puglia e Basilicata, per ripopolare la popolazione riproduttiva naturale, ma malgrado i grandi sforzi, soltanto un individuo è riuscito a sopravvivere e a riprodursi in natura. Purtroppo la più grande minaccia del capovaccaio è rappresentata dalla migrazione. Durante il lungo viaggio, di migliaia di chilometri, per raggiungere l’Africa, i capovaccai incontrano molti pericoli: impianti eolici, che rappresentano dei veri e propri campi minati per gli uccelli veleggiatori; bracconaggio, ancora molto diffuso tra Sicilia e Calabria, negli hotspots della migrazione; avvelenamento e uccisioni illegali in Africa, dovuti a scarso controllo e protezione locale. I grandi sforzi di conservazione in Italia sono controbilanciati dall’assenza di prevenzione e protezione nei Paesi di svernamento.
L’avvoltoio monaco invece è un caso a sé. Ad un passo dalla reintroduzione assieme al grifone negli anni Novanta, sono state abbandonate tutte le idee e i progetti per riportare questa rara specie in Appennino. Il limite più grande è la tipologia di sito di nidificazione: a differenza degli altri avvoltoi europei, i monaci nidificano in enormi nidi su grandi alberi. Rispetto ad una nidificazione sicura e lontano dai disturbi su un’alta parete rocciosa inaccessibile, i nidi sugli alberi sono mira di disturbo antropico, bracconaggio e attenzioni “indesiderate”.
Inoltre, essendo più solitario del grifone, l’avvoltoio monaco avrebbe maggiori difficoltà nel trovare carcasse in aree con bassa densità di ungulati. La presenza del monaco è quindi strettamente legata a quella del grifone, e in futuro è necessario operare in aree in cui altre popolazioni di necrofagi sono già insediate.
Gli avvoltoi quindi condividono sentieri simili, ma destini diversi, dovuti al contesto ecologico, alle abitudini delle specie e alle risorse impiegate nella loro conservazione.
È importante conoscere e proteggere tutte queste preziose presenze, a volte dimenticate e incomprese, ma necessarie per gli ecosistemi naturali, affinché un domani non siano solo semplici nomi che appartengono al passato.
Foto e testo di Gianluca Damiani, naturalista e fotografo
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Progetto grifone, Riserva Naturale Regionale del lago di Cornino
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Grazie per il commento, che va ad aggiungere un tassello di enorme importanza, come ben segnalato dall’autore nell’articolo: l’importanza dei carnai di alimentazione e il fondamentale ruolo della sensibilizzazione del pubblico. Il “Progetto grifone” della Riserva Regionale del Lago di Cornino (http://www.riservacornino.it/progetti/), iniziato già alla fine degli anni ’80 sulle Prealpi friulane con lo scopo di contrastare il declino degli avvoltoi sulle Alpi e nell’area adriatica, intervenendo con aiuti alimentari e cercando di favorire la formazione di nuove colonie, ha avuto decisamente successo, contribuendo al recupero del grifone in Italia cui per fortuna oggi assistiamo.
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