Diari – Albe magiche sui chiari d’acqua

Alcune albe hanno un fascino molto particolare: nell’atmosfera sospesa, il buio convive con i primi timidi raggi di luce, poi viene travolto dalla lucentezza del sole sempre più radente. In questi attimi tutto può succedere, situazioni inaspettate che neppure lontanamente potevo immaginare nelle mie osservazioni dei giorni precedenti.

Da diverso tempo seguo le aree umide della mia zona, nella provincia di Livorno, che, in maniera impropria, definisco “particolari”: canali di bonifica, chiari di caccia, invasi artificiali e la spiaggia originata da uno stabilimento chimico. Queste aree assumono un aspetto molto diverso nella parte centrale della giornata, quando la luce dura del giorno rivela il reale impatto delle attività umane.

I paesaggi toscani sono forse nell’immaginario collettivo dei luoghi unici, una variegata tavolozza di forme e colori generata caparbiamente nei secoli con le attività di bonifica delle zone paludose, iniziate dagli Etruschi, proseguite dai Romani, e riprese energicamente nel Settecento e nell’Ottocento con tecniche di colmata (apporto di sedimenti) e con l’avveniristico pompaggio tramite macchine a vapore. Tutte le opere idrauliche sono interconnesse tra di loro e gli ultimi interventi dei primi del Novecento hanno plasmato il territorio nell’attuale conformazione, lasciando pochissimi luoghi realmente selvaggi ed incontaminati.

Il settore agricolo e le attività ad esso legate sono i maggiori indiziati di questa costante bramosia di nuovo terreno che ha vissuto il suo culmine negli anni Cinquanta.

Oggi la forte pressione antropica, le attività venatorie e un turismo di massa spesso poco consapevole e compatibile con le dinamiche naturali danno, solo in alcuni periodi dell’anno, una modesta tregua unicamente in alcune fasi della giornata.

Poco prima, durante e poco dopo l’alba, timidamente gli antichi abitanti di questi luoghi, cercano di riconquistare i propri spazi e, in questo gioco di luci dove le atmosfere oniriche danzano, la Natura offre uno spettacolo di epifanie uniche, rivelandosi in tutta la sua potenzialità.

Molto spesso, sdraiato in rudimentali e spartani capanni autocostruiti, a pochi centimetri da acqua e fango, il mio stato d’animo è molto contrastato, passa dallo sconforto all’esaltazione per quello che vedo: da una parte tutte quelle prassi “umane” che ci fanno poco onore, dall’altra la pace nell’osservare dal mirino della macchina fotografica quei rituali di cui sono spettatore. 

L’importanza delle aree umide è una tematica che attualmente ha ottenuto una rinnovata visibilità, non solo dal lato conservazionistico, ma anche per una tutela e sicurezza del Paese dal punto di vista del rischio idrogeologico. Sono, di certo, argomentazioni molto complesse ed articolate che molto spesso vengono affrontate in situazione di emergenza. Dal mio punto di vista, la riscoperta di questo territorio è invece stata molto personale ed intima, forse in maniera inconsapevole non cercavo di raccogliere una serie di immagini di denuncia, ma di cogliere una potenzialità attraverso lo strumento fotografico.

Mi piace leggere le citazioni ma non ne faccio mai uso, non c’è una ragione in particolare: in questo caso però, riaffiorando dal capanno, mentre mi sgranchisco le ossa (chi sta sdraiato raso terra per fotografare sa di cosa parlo), ripenso alla frase di David Hume: “La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le contempla”.

Testo e foto di Andrea Daina Palermo
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2 commenti

  1. Da cultore dei crepuscoli e delle tenebre a esploratore della magnificenza delle albe…

    …bellimo articolo e scatti da incorniciare. Grande Andrea.

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