Un libro che tutti dovrebbero leggere, oggi in particolare. Tornato prepotentemente in vetta alle classifiche nonostante sia stato scritto qualche anno fa (la prima edizione è del 2012, in Italia edito da Adelphi), Spillover racconta attraverso la coinvolgente scrittura di David Quammen, tre volte vincitore del National Magazine Award per i suoi reportage per National Geographic, il complesso mondo dei virus zoonotici: le infezioni animali che possono trasmettersi agli esseri umani. Le malattie infettive sono ovunque, sono una sorta di collante naturale tra individui e tra specie nei diversi ecosistemi e il salto interspecifico è più comune che raro. Ebola è una zoonosi, la peste bubbonica, l’AIDS in origine, la SARS, e così il recente COVID-19. La parola zoonosi, che Quammen in modo profetico considerava già allora una parola del futuro, è per noi drammaticamente una parola del presente. I patogeni delle zoonosi possono nascondersi, anche a lungo, in ospiti serbatoio (spesso inizialmente pipistrelli o piccoli roditori), si evolvono con rapidità, non sono sensibili agli antibiotici, possono essere molto versatili e portatori di tassi di mortalità altissimi. E sono difficili da individuare e isolare: spesso accanto ai biologi chiusi nei loro laboratori di massima sicurezza hanno un ruolo decisivo i “cacciatori” di virus selvatici, che lavorano sul campo (il loro campo può essere ovunque, una foresta tropicale inaccessibile, una palude, un vecchio edificio abbandonato, una fogna…). Cosa hanno scoperto? Non tutto purtroppo, ma “che sicuramente c’è una correlazione tra queste malattie e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria. Sommandosi, le loro conseguenze si mostrano sotto forma di una sequenza di malattie nuove, strane e terribili, che emergono da ospiti inaspettati e che creano serissime preoccupazioni e timori per il futuro”. Per semplificare, da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con patogeni, e dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo ancor più rapido e generalizzato. Eppure, evidentemente, non abbiamo imparato nulla, neppure dal coronavirus SARS diffusosi nel 2003 da uno spillover avvenuto in un wet market (mercati di animali selvatici) della Cina meridionale, un virus ad alta infettività, soprattutto nei contesti ospedalieri, e con letalità molto superiore a quella delle polmoniti classiche, e ci siamo fatti trovare completamente impreparati a quella che ad oggi temiamo possa essere la tanto temuta Next Big One, l’epidemia definitiva (che nessun esperto dubitava potesse essere altro che una zoonosi). Moriremo tutti? Certo, ma la maggior parte di noi per cause più banali di un nuovo virus trasmessoci da un pipistrello, a patto che miglioriamo le nostre basi scientifiche per potenziare le nostre capacità di risposta. Ciò significa sapere quali gruppi di virus tenere sotto osservazione, riconoscere uno spillover prima che si trasformi in epidemia, avere le capacità organizzative per bloccare le epidemie localizzate prima che diventino pandemie, sviluppare capacità tecniche per creare terapie e vacciniin tempi brevi. Ma dipenderà anche dalla politica e dagli usi sociali, insomma da come si comporterà l’umanità e dalla sua consapevolezza che solo il rispetto del nostro pianeta e dei suoi abitanti potrà darci una possibilità di sopravvivenza.
Prof. Gip. Barbatus
Potete leggere questa recensione anche sul numero 19 (maggio) del magazine di divulgazione scientifica Prisma, in tutte le edicole