Diari – Il signore dell’arena: il gallo forcello

Ogni anno, tra aprile e maggio, lungo l’arco alpino, la magia del gallo forcello (o fagiano di monte) si rinnova. È la stagione degli amori e questi eleganti tetraonidi sfoggiano tutta la loro bellezza e forza per vincere la sfida nel lek, l’arena. In palio c’è la possibilità di riprodursi con più femmine e quindi la trasmissione della propria eredità genetica. Non poco. Il maschio è infatti poligamo e feconda più femmine, che depongono in solitudine anche fino a 15 uova che si schiudono dopo 4 settimane.

Difficile non riconoscere questo abitante dei nostri boschi se si ha la fortuna di incontrarlo. Il gallo forcello (Lyrurus tetrix o Tetrao tetrix) deve il suo nome alla conformazione a forma di lira della coda. Presenta forte dimorfismo sessuale: il maschio, di sessanta centimetri circa, con apertura alare di oltre novanta e coda che sfiora i diciotto centimetri, ha un piumaggio nero, con la testa, il collo e la parte inferiore del dorso di un bellissimo azzurro-acciaio disegnato a fasce bianche quando le ali sono raccolte, con le piume del sottocoda bianchissime. L’occhio è bruno, le pupille nero-turchine, il becco nero, le dita brunicce, il sopra dell’occhio e lo spazio nudo perioculare rosso-vivi. La femmina è meno appariscente, assomiglia a quella del gallo cedrone (Tetrao urogallus), per quanto di dimensioni minori, e il suo abito è un misto di giallo-ruggine e bruno-ruggine con liste e macchie trasversali nere.

Lo spettacolo degli amori dei galli forcelli è qualcosa di eccezionalmente interessante per noi birdwatchers e per questo abbiamo chiesto all’amico Stefano Speziali, che da anni li segue, di raccontarci com’è andata quest’anno la sua caccia fotografica sulle Orobie valtellinesi. Lasciamo giudicare a voi…

Una sera di maggio… Oggi si cena presto, lo zaino è già pronto ed è sempre troppo pesante: reflex, teleobiettivo, vestiti pesanti, cavalletto e capanno. Sono pronto, c’è tutto, questa notte si sale in arena. È l’1.30 di notte e fuori piove. Un caffè per svegliarsi e preparo il termos di the caldo. Pochi minuti e sono in macchina e dopo 40 minuti di strada di montagna sono arrivato. La temperatura è di 1° e nevischia (quest’anno il meteo non aiuta).

L’arena è là sopra, 500 metri più in alto. Il sentiero c’è, ma fa un giro troppo lungo e non voglio perdere tempo, come sempre salgo per la via più diretta tra i prati innevati. Alle 3.45 arrivo sul posto, mi accolgono 20 centimetri di neve fresca e il silenzio assoluto. Monto il capanno nel posto scelto il giorno prima e comincia l’attesa.

I primi canti iniziano alle 5 del mattino, il cielo ora quasi totalmente sereno e il paesaggio completamente bianco danno parecchia luce. Pochi minuti e appaiono le prime sagome nere. Eccoli.

Oggi i galli sono poco attivi, cantano e si muovono poco come se fossero “disturbati” dalla nevicata, in una notte hanno visto trasformato il loro campo da gioco.

Calimero, cosi abbiamo chiamato il gallo dominante dell’arena, fa qualche passeggiata nella neve fresca, mentre gli altri contendenti preferiscono rimanere sulle piante ad osservare e ad alimentarsi.

Qualche decina di minuti e lo spettacolo finisce, i galli decidono che oggi non è giornata per combattere, meglio tornare nei propri territori. Uno alla volta si involano. Il silenzio in arena è tornato, questa mattina non si sente nulla.

Quest’anno ho dedicato con grandi sacrifici 10 giorni al gallo forcello. Il mio obiettivo era riuscire a fare una bella fotografia alla femmina, purtroppo l’occasione non si è mai presentata e sono riuscito solo a farle qualche fotografia ambientata.

Non sono mancate le occasioni però per ammirare questi splendidi uccelli, totalmente indifferenti alla presenza del capanno, che mi hanno concesso molti passaggi ravvicinati. Vederli competere è sempre uno spettacolo incredibile. Sono guerrieri e gladiatori e il lek, l’arena, è il loro colosseo.

Ma come tutte le cose belle, anche questa finisce. Per quest’anno ho concluso la mia avventura con i galli, nelle orecchie ho ancora i loro canti e i loro gorgoglii. Salutandoli gli ho lanciato il mio arrivederci, all’anno prossimo… sempre con il massimo rispetto per la natura, soprattutto in un momento così delicato del loro ciclo vitale.

Testo e foto di Stefano Speziali
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