Animal target: volpi artiche, pulcinella di mare
5 giorno Hloduvik-Hesteyri
Siamo svegliati da un verso come di trombetta, che immaginiamo all’inizio essere solo nella nostra fantasia. Ci stropicciamo gli occhi, tendiamo le orecchie… ma il suono ritorna, ciclicamente, a intervalli regolari di alcuni minuti, sopra le nostre teste. Apriamo le cerniere incuriositi. Scrutiamo il cielo, a tratti sorprendentemente azzurro, ed ecco in volo sopra di noi, rigorosamente in coppia, diversi cigni selvatici (Cygnus cygnus) che volano verso il mare. L’aria fresca del mattino, la luce radente, i colori incredibili dei muschi e dei licheni in cui affondano i nostri passi creano uno scenario spettacolare.
Facciamo colazione con biscotti, cioccolato, frutta secca, the e caffè, quindi smontiamo le tende per l’ultima volta, le leghiamo allo zaino e partiamo. Il sentiero comincia subito a salire verso una sella, gli zaini pesano (anche se le scorte di viveri decisamente ridotte si sentono) ma ormai ci siamo abituati a questa nuova routine e sicuramente ci mancherà appena saremo costretti ad abbandonarla.
La prima ora di salita trascorre in silenzio e dentro di noi siamo contenti di esserci spinti oltre l’area di campeggio ieri, abbreviando la tappa di oggi. Non abbiamo in questo modo l’ansia di non raggiungere in tempo il traghetto, ci possiamo godere i paesaggi, scattare qualche foto e fare qualche pausa non strettamente necessaria.
Raggiunto un altopiano sassoso, cominciamo ad incontrare i primi nevai e, forse per il sole che illumina la neve, per la prima volta dalla partenza abbiamo qualche dubbio sul fatto che ci reggano senza problemi. Comunque procediamo ma cerchiamo di aggirarne alcuni, allungando di qualche centinaia di metri il percorso.
Le salite spesso si inerpicano tra roccette friabili, bisogna guardare bene dove si mettono i piedi. Altrettanto franose sono le discese… non riusciamo così a procedere troppo rapidamente.
Improvvisamente, alla fine dell’altopiano, si apre davanti ai nostri occhi una profonda baia dalle coste frastagliate. Ci sembra però troppo presto perché possa essere il fiordo di Hesteyri. Consultiamo le cartine, discutiamo animatamente e in modo democratico prevale il no… stabiliamo così del tutto arbitrariamente che debba trattarsi del fiordo precedente (naturalmente era il fiordo di Hesteyri). Pertanto continuiamo lungo il sentiero che sale leggermente, convinti che più avanti scorgeremo dall’alto, tra un paio d’ore, la nostra meta.
Il sentiero comincia a non essere più segnalato, totem di pietra, ovvero grossi mucchi di pietrame che costituiscono gli unici riferimenti, indicano come silenziose guide la direzione. Raggiunto un totem, si scorge il successivo, in alcuni casi i due successivi o più, dipende dalla conformazione dei rilievi.
Superata una bassa cresta, si apre un ampio altopiano pianeggiante e roccioso, che si estende a perdita d’occhio e sembra non finire mai. Scorgiamo i primi totem e cominciamo ad inseguirli, scommettendo tra noi su quanti saranno alla fine… venti, trenta? Lo scopriremo.
Avanziamo senza fermarci, la grigia pietraia conosce poche variazioni.
Ad un tratto, sentiamo distintamente un verso tra i sassi, estremamente vicino a noi. Ci fermiamo, ci guardiamo intorno ma non riusciamo a scorgere nulla. Eppure il verso si ripete, come allarmato, come di qualcuno che chieda aiuto. Ma eccolo! Infine un movimento ce lo svela. E’ un pullo di piviere dorato (Pluvialis apricaria) che chiama la madre ed è così vicino che abbiamo rischiato di calpestarlo.

A pochi metri di distanza adesso scorgiamo anche la madre, elegantissima nei sui diversi colori.

Solo più tardi veniamo a sapere che il piviere dorato è uno degli uccelli simbolo dell’Islanda, trovandosi sull’isola la più consistente popolazione europea.
Con attenzione ci allontaniamo senza disturbare oltre questi magnifici abitanti di Hornstrandir e riprendiamo il cammino, consci che manca ancora molta strada alla nostra meta finale.
Il tempo passa, la fatica cresce e finalmente arriviamo alla fine della pietraia e scorgiamo sotto di noi il fiordo di Hesteyri. Si distingue addirittura il pontile di fronte all’area di campeggio dove attraccherà il nostro traghetto.
Ci concediamo una meritata pausa, siamo in anticipo sulla tabella di marcia. Crolliamo sull’erba e sui muschi abbandonando gli zaini e ci lasciamo accarezzare dal sole. Solo dopo mezz’ora troviamo le forze per rialzarci e iniziare la discesa verso Hesteyri. Il sentiero dapprima è piuttosto ripido, poi declina dolcemente e infine attraversa rigogliosi prati fioriti pianeggianti costellati da ruscelli.
Arriviamo al pontile, ci abbracciamo. Ce l’abbiamo fatta, tutte le paure e le ansie iniziali si sono dissolte, non abbiamo avuto problemi particolari. Ci rendiamo conto di essere stati particolarmente fortunati con il tempo: affrontare lo stesso percorso sotto la pioggia o con un vento molto forte (l’eventualità della neve non l’abbiamo neanche voluta considerare) sarebbe stato decisamente più duro. Siamo davvero soddisfatti di noi stessi, di non avere ceduto alla tentazione di trekking organizzativamente più facili ma molto più frequentati, di non avere mai dubitato di noi stessi al punto da rinunciare.
A questo punto non ci resta che aspettare il traghetto, seduti ai margini dell’area di campeggio limitrofa, a qualche decina di metri dalla solita latrina… dando fondo alle ultime provviste senza più timore. Pastina, dolci, frutta secca… ingurgitiamo tutto quello che troviamo negli zaini, ce lo siamo meritato.
All’ora prevista ci portiamo ridenti al pontile ma i minuti cominciano a passare e del traghetto non si vede neanche la sagoma in lontananza. Abbiamo letto che in condizioni meteo ostili i ritardi sono la norma ma oggi il mare è un olio, non c’è nemmeno una piccola onda. Aspettiamo, lanciando occhiate speranzose nella direzione da cui il traghetto dovrebbe arrivare. Dopo una quarantina di minuti però l’ansia comincia a fare capolino: un banale ritardo o si saranno dimenticati di noi? Abbiamo ancora qualcosa da mangiare per restare un altro giorno? Forse qualche migliaio di calorie le avremmo potuto in fondo in fondo risparmiare per eventuali emergenze?
Proprio mentre cominciamo a essere realmente almeno un po’ preoccupati, invece eccolo!
Velocemente percorre il braccio di mare, attracca al pontile e ci carica a bordo. Adesso è davvero finita, si torna alla civiltà!
E così, mentre la chiglia fende l’acqua con facilità verso Isafjordur, mentre puffins, gabbiani e urie ci nuotano intorno attratti dal traghetto, già rimpiangiamo la libertà di questi giorni, l’avere con sé solo l’essenziale, il non doversi preoccupare di altro che del cammino…
Prof. Gip. Barbatus – Foto Ivan Vania
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Davvero un bel viaggio!
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Giulia
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