Animal target: volpi artiche, pulcinella di mare – Periodo: fine luglio/inizio agosto
Day 2: Hornvik-Hornbjarg-Hornvik
Ci svegliamo di buon’ora con l’orecchio inconsciamente teso all’eventuale ticchettio della pioggia sul telo impermeabile della tenda. Niente. Non sembra che piova. Fiduciosi apriamo allora le cerniere. Asciutto, piuttosto coperto ma neanche una goccia dal cielo. Come da previsioni d’altronde. La giornata dovrebbe mantenersi coperta fino al tardo pomeriggio, quando infine dovrebbe arrivare l’ineludibile pioggia islandese.
Ci vestiamo, facciamo un’abbondante colazione e siamo pronti. Oggi fortunatamente faremo un percorso ad anello, tornando a dormire ancora ad Hornvik. Lasceremo pertanto le tende montate con dentro le nostre cose e ci porteremo solo uno zainetto con il necessario per la giornata: cibo, k-way, macchina fotografica e soprattutto scarpe da guado… oggi si guada veramente, un vero fiume!
Il sentiero parte dalla spiaggia di Hornvik, adiacente al campeggio. Siamo i primi a muoverci e sorprendiamo, tra i tronchi di siberian wood, le matasse intricate di alghe e le lische spolpate di grossi merluzzi, alcuni corrieri grossi (Charadrius hiaticula) che corrono veloci sulla sabbia scura in cerca di cibo. Tra gli immancabili gabbiani tridattili (Rissa tridactyla) e gli edredoni (Somateria mollissima), vola sulle nostre teste anche una coppia di enormi corvi imperiali (Corvus corax), la cui maestosità e impressione di forza è dominante. Lo scenario incantato della baia di Hornvik che si dispiega davanti ai nostri occhi e il volo di questi enormi uccelli ci trascinano in una puntata di Game of Thrones!
Per la prima mezz’ora avanziamo affondando leggermente sulla scura sabbia della spiaggia, le nostre orme si mescolano a quelle dei soli veri abitanti di queste contrade, uccelli e volpi artiche, finché arriviamo al guado. Per proseguire verso Hornbjarg, “il corno”, la nostra mete odierna, bisogna inevitabilmente attraversare la foce di questo fiume che sbocca nel mare. La profondità del guado è di conseguenza sensibilmente influenzata dalle maree: durante la bassa marea il fiume può scendere anche fino a 50-60 cm, ma con l’alta marea può superare tranquillamente il metro e mezzo. Non è proprio la stessa cosa! Ora siamo in bassa marea, il problema sarà forse al rientro. Cerchiamo il punto più agevole per il guado seguendo vecchie impronte, ci togliamo scarpe e pantaloni e calziamo le scarpette da guado. Ovviamente scegliamo un punto non adatto e, dopo qualche passo nell’acqua gelida che diventa man mano sempre più profonda, capiamo che è meglio tornare indietro e guadare proprio in prossimità della spiaggia. La corrente non è sostenuta, il guado è piuttosto agevole.
Ci rivestiamo e continuiamo lungo la spiaggia che dopo poco diventa sassosa, con grossi ciottoli levigati dal mare che rendono faticoso il cammino. Il sentiero si sposta tra l’erba e il fango alle pendici della salita, parallelamente alla spiaggia.
Avanziamo cercando di evitare passaggi scomodi e pozze quando improvvisamente alcuni cuccioli di volpe artica (Alopex lagopus) fanno capolino sul sentiero, altri ci guardano dalla spiaggia. Sono bellissimi, grigi, stretti l’uno all’altro per riscaldarsi e proteggersi dal vento. Siamo a tal punto sorpresi ed emozionati che perdiamo alcuni secondi prima di scattare qualche foto. Per fortuna questi cuccioli non sono per nulla timidi o impauriti, anzi a loro volta ci osservano incuriositi da noi.
Dopo alcuni minuti ripartiamo e poche centinaia di metri più avanti il sentiero comincia a salire decisamente verso la cresta del corno. Guadiamo con facilità alcuni ruscelli, attraversiamo alti prati fioriti e improvvisamente, dopo una buona mezz’ora di ascesa, si apre di fronte ai nostri occhi un laghetto nascosto proprio alla base delle alte scogliere. Il paesaggio è ancora una volta sorprendente, tra il verde intenso della vegetazione e il giallo dominante dei fiori, sullo specchio d’acqua riposano numerosi gabbiani e cigni selvatici.
Appagati da questa visione, affrontiamo lo strappo finale che ci porta alla prima scogliera, a strapiombo sul mare. Ci sdraiamo sull’erba e strisciando a timidi passi ci affacciamo sul vuoto. La parete verticale brulica di uccelli che si lanciano dalla scogliera, sfruttano le correnti e ritornano tra le rocce ai nidi. Centinaia e centinaia di gabbiani e di urie (Uria aalge) attraversano il nostro campo visivo freneticamente, meno numerosi sono i puffins (Fratercula arctica) ma il loro modo apparentemente goffo di volare li rende impossibili da non riconoscere.
La scogliera sembra un enorme condominio di cui siano abitati anche gli ascensori, non c’è quasi più spazio, eppure miracolosamente ognuno dei condomini sa esattamente dove trovare il suo alloggio. Lo spettacolo certo non annoia ma decidiamo di riprendere la salita per arrivare al punto più alto. Il sentiero, sempre ben segnato, sale ancora, addirittura l’ultimo tratto è da fare con l’aiuto di una corda. Senza zaino tuttavia anche questo ostacolo non è particolarmente critico e in pochi minuti ci issiamo sulla vetta. La vista è letteralmente mozzafiato, ci fermiamo a goderci l’assoluto.
Decidiamo di pranzare a poche decine di metri dall’inizio della corda, tra alcune grosse rocce dove ci sediamo comodamente. Solito scatolame, frutta secca, biscotti ma… qualcuno ci osserva da poco lontano e si affaccia da una roccia: una volpe artica! Evidentemente anche per lei è ora di pranzo! La colorazione del pelo è però differente, questa è in muta marrone. Ad Hornstrandir ci sono infatti due varietà di volpi artiche, le “blue” (grigie) e le “brown” foxes. Con questo avvistamento la nostra check-list per quanto riguarda i mammiferi è quasi completa (ci mancherebbe solo la foca, ma non abbiamo letto di recenti segnalazioni… chissà). La volpe si avvicina e poi si nasconde, ci scruta e poi scompare per qualche secondo. Il gioco continua per alcuni minuti, poi, dopo uno sguardo al cielo sempre più nuvoloso, memori delle previsioni e del guado che comunque dobbiamo affrontare, decidiamo di incamminarci verso il basso. Ritorniamo sui nostri passi, ripercorriamo lo stesso sentiero. In prossimità della costa troviamo, insieme ad alcuni giovani corrieri grossi, il bivio che conduce da un lato al nostro campeggio, ad Hornvik, dall’altro porta all’estremità di questa piccola penisola che stiamo percorrendo. La decisione non è semplice, proseguire o non proseguire?
Ci consultiamo e prevale la scelta dettata dalla prudenza (dalla stanchezza forse?) di non affrontare il ritorno sotto l’acqua. Procediamo rapidamente, incontriamo nuovamente le volpine della mattina e in un’ora siamo al guado. Di fronte ai nostri occhi il fiume però appare profondamente diverso, siamo arrivati nel momento sbagliato, l’alta marea ha decisamente fatto aumentare la quantità di acqua. Timidamente ci approcciamo al fiume, muoviamo pochi passi ma appare subito evidente che guadare non sarà uno scherzo. Nel punto più alto la profondità supera il metro e mezzo e l’acqua è gelata. Che fare?
Ci guardiamo, l’idea di aspettare qualche ora non ci allieta particolarmente ma anche la prospettiva di immergerci fino al collo con queste temperature non ci attrae. Aspetteremo qualche ora. Troviamo un angolo di prato poco discosto dalla spiaggia, a tratti interamente ricoperta di impronte di volatili, e ci dedichiamo ad una delle nostre attività preferite anche outdoor, mangiare: scatta la merenda!
Dopo un’oretta, tra i nostri sguardi rassegnati che sempre più frequentemente scrutano il cielo in attesa della pioggia, notiamo sull’altra sponda alcuni trekkers che a loro volta hanno intenzione di guadare il fiume, purtroppo ancora molto alto. Seguiamo le loro mosse con attenzione e li vediamo, dopo alcuni tentativi infruttuosi, risalire la costa in cerca di un passaggio più agevole. Contro ogni nostra aspettativa lo trovano a una mezzoretta di cammino. Non ci resta che risalire il corso del fiume a nostra volta e imitarli! Giunti sul posto, una piccola volpe artica ci mostra definitivamente la strada attraversando prima di noi. Ci spogliamo e la seguiamo.
Inaspettatamente, una volta guadato senza troppi problemi, ci accorgiamo di essere in linea d’aria non troppo lontani dal campeggio, ci separa una ampia zona pianeggiante dai colori irreali e dalla vegetazione lunare. Decidiamo di seguire l’istinto e attraversarla senza tornare al sentiero, con il rischio di trovarci bloccati da qualche ostacolo imprevisto. Come spesso accade, appena ci si allontana dai sentieri battuti (per quanto qui ad Hornstrandir “battuto” abbia un significato talvolta iperbolico) la natura svela il suo vero volto. Ci troviamo immersi in un’alternanza di zone paludose e zone ricoperte da diversissime varietà di muschi e licheni, con collinette sabbiose che si affacciano sulla sabbia nera, qualcosa di incredibile. Comincia puntualmente a piovere e la fitta pioggia trasforma ulteriormente il paesaggio.
La volpe che ci ha aiutato ad attraversare il fiume riappare e ci guida verso le tende lungo un suo tortuoso sentiero a noi invisibile. Ogni tanto la perdiamo ma subito dopo ci appare nuovamente poco lontana.
In un’ora siamo al campeggio, ci rifugiamo nelle tende scosse dal vento e aspettiamo che smetta di piovere. Non succede. Ci addormentiamo più volte e solo verso le nove sembra che la situazione migliori. Rimaniamo a questo punto nei sacchi a pelo con la speranza che il sole ci svegli domani mattina con i suoi raggi.
Prof. Gip. Barbatus – Foto Ivan Vania
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