
Un viaggio coinvolgente, ricco di citazioni e di riferimenti, mai banale, che ci porta lontano per analizzare il rapporto tra uomini e animali partendo dalle origini. Difficile convivere con l’uomo, con chi si sente superiore a tutti, con chi rinnega le proprie origini animali e, in nome di una presunta superiorità intellettuale, si arroga il diritto di sfruttare, opprimere, torturare, uccidere gli altri esseri viventi. È stato così per millenni, fino a quando l’uomo, dopo averli temuti ed evitati, poi cacciati e sfruttati, non ha cominciato a osservarli e studiarli, e infine, molto recentemente e non ovunque, a proteggerli, prendendone le difese e affermandone i diritti.
Ma per comprendere l’importanza di questa svolta bisogna avere il coraggio di guardarsi con onestà intellettuale alle spalle, e questo fa Maurizio Quilici in questo bel volume (Edizioni San Paolo, 2020), cercando di squarciare il velo del primo impatto nella preistoria degli uomini sul mondo animale e poi invece raccontando con maggiori dettagli l’età classica greca e romana. Bellissime per ampiezza e descrizione nei particolari, ad esempio, le pagine dedicate all’Anfiteatro Flavio (vulgariter il Colosseo) e alle venationes in cui i bestiarii o venatores uccidono antilopi e cervi o affrontano animali feroci: leoni, tigri, leopardi, coccodrilli, ma anche elefanti, ippopotami, rinoceronti, cinghiali. Una strage di proporzioni inimmaginabile: migliaia di bestie selvatiche catturate e trasportate a Roma per essere vendute a prezzi folli, intere regioni del globo saccheggiate! Per non parlare poi di quello che i Romani mangiavano… ovvero praticamente tutto, con gusto particolare per le prelibatezze più rare, o gli animali che sacrificavano.
Insomma, un quadro davvero negativo per chi ritiene che anche gli animali debbano avere dei diritti.
Non migliorano purtroppo di molto le cose nell’età cristiana, quando persiste l’idea della supremazia e del conseguente dominio dell’uomo sugli animali, né nel Medioevo nel quale gli animali, tranne pochi adottati come simboli ecclesiastici, diventano ricettacolo di spiriti maligni, dimora di Satana: sono espressione di entità ultraterrene, ma quasi solo negative, rappresentano la sostanza visibile di schiere di demoni. Perché neri, come certi gatti o come il corvo, perché sporchi, “sconci” come il maiale, perché selvaggi, come il lupo, perché liberi, come gli uccelli, perché abitanti della notte come gli uccelli notturni. Nel Medioevo e ancora nel Rinascimento gli animali (soprattutto gatti, rospi e caproni) sono coinvolti nei processi di stregoneria, “complici” di streghe, maghi, fattucchiere, oggetto di esorcismi, imputati e condannati in regolari processi penali.
Qualche spiraglio di luce tra Seicento e Settecento ma è solo nell’Ottocento – soprattutto nella sua seconda metà – che si avvia una trasformazione della sensibilità umana nei confronti degli animali e, in Europa e in America, nascono le prime società per la protezione degli animali. Il Novecento, con le sue indelebili contraddizioni, vede pagine fondamentali nella tutela degli animali al fianco di episodi da dimenticare, che ci portano fino ai giorni nostri
Il libro poi si apre in diverse direzioni, toccando tematiche molto diverse (animali sfruttati come armi in guerra ma anche lussi e stravaganze legate agli animali, spunti di giurisprudenza in materia, allevamenti intensivi, sperimentazione animale…) ma accomunate dal ruolo centrale degli animali, tra riflessioni, aneddoti curiosi e approfondimenti… fino ad arrivare ad ipotizzare che forse proprio noi, e il nostro distorto e spesso distruttivo rapporto con la natura, siamo il virus che sta realmente destabilizzando il pianeta.
Davvero molto su cui riflettere, per cercare di crescere e responsabilizzarci… perché davvero troppo spesso noi uomini non ci facciamo per niente una bella figura.