Interviste – Ai confini del mondo. Claudio Augugliaro ci racconta del gatto di Pallas, della Mongolia e di una scoperta eccezionale

Il ricercatore palermitano Claudio Augugliaro, direttore scientifico di Green Initiative e membro del Pallas’s Cat Working Group, è uno dei massimi esperti dell’elusivo e leggendario Gatto di Pallas. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa di  Ulaanbaatar (Ulan Bator è il nome russo)

Ciao Claudio, innanzi tutto grazie della disponibilità; come va?

Ciao, grazie a voi. Qui tutto bene! Sono le 5 del pomeriggio (7 ore avanti a voi) fuori fa -26 e io sono al computer a inviare e rispondere alle mail di lavoro.

Come passi le tue giornate?

Dipende dal periodo, quando non siamo sul campo a fare osservazioni (quest’anno ne abbiamo organizzate cinque di una ventina di giorni l’una) sto qui a Ulan Bator ad analizzare dati e a scrivere oppure sono in viaggio per incontri con istituzioni, università, musei e a organizzare fondi per le nostre ricerche. In più, per “comodità” sto facendo un dottorato a Losanna sul leopardo delle nevi… Ovviamente anche qui per le problematiche Covid le cose si sono molto rallentate sul versante spostamenti e ho fatto molto in modalità “smart working”.

Raccontaci come sei finito in Mongolia…

È una storia lunga… per sintetizzare, una decina di anni fa ero in Andalucia per un master dedicato alla Convenzione sul commercio internazionale di specie a rischio e lì ho conosciuto studiosi da tutto il mondo con cui poi ho mantenuto contatti lavorativi e di amicizia duraturi, tra questi anche Choikhand Janchivlamdan (per gli italiani “Handa”) che è poi diventata mia moglie. Alla fine del percorso di studi abbiamo deciso insieme di buttarci in questo progetto sul nostro amato gatto di Pallas,  Otocolobus manul, e nel 2013 ci siamo trasferiti qui.

Veniamo dunque al manul…

Con il nostro gruppo di ricerca che poi vi presenterò stiamo monitorando costantemente la steppa di Bayan Onjuul nella provincia di Tuv. Un’area di 100 km quadrati a 160 km dalla capitale. Uno dei fini principali è quello di capire quanti esemplari sono presenti sul territorio. Il gatto è già di suo un animale elusivo e in queste zone, dove viene cacciato, fa ancora di più per rendersi invisibile all’uomo. Abbiamo fatto un lunghissimo lavoro di fototrappolaggio, analisi dei dati e osservazioni che ci ha permesso la prima stima rigorosa mai fatta sulla specie. La nostra ricerca, che sta per essere pubblicata su Wildlife Research, ha accertato la presenza di una quindicina di esemplari nella zona. Una buona notizia dunque.

Per cosa viene cacciato?

Per le pellicce soprattutto, che finiscono sul mercato russo e cinese. In alcuni casi anche per la medicina tradizionale, il grasso del gatto di Pallas viene usato contro i reumatismi. Anche se meno diffuse che in altri Paesi asiatici, queste credenze sono presenti anche qui e difficili da sradicare. Pensa che ancora in qualche ospedale alcuni medici propongono cure a base di cervello di lupo.

Oltre alla caccia, un grosso problema sono le predazioni da parte dei cani da pastore e la decimazione della marmotta mongola operata dall’uomo. Questo crea ulteriori problemi al manul, non solo perché se ne ciba anche se raramente, ma soprattutto perché utilizza le tane vuote durante i propri spostamenti attraverso la steppa nel tentativo di raggiungere nuovi siti idonei nei quali insediarsi. Quando i giovani vanno alla ricerca di un proprio territorio nell’attraversare la steppa, in assenza di nascondigli divengono preda troppo facile di lupi e cani ma soprattutto dei grossi rapaci che qui sono veramente numerosissimi. 

Parlaci della fauna mongola…

La Mongolia è un paese incredibile dal punto di vista naturalistico. Deserti, steppe, montagne, laghi…  Ci sono 16 ecoregioni diverse (per darti un termine di paragone il Kenia ne ha 11).  Molti sono i grossi mammiferi minacciati, oltre al leggendario leopardo delle nevi, tra i quali il rarissimo orso del Gobi (Ursus arctos gobiensis) sottospecie endemica della Mongolia, il cammello della Battriana selvatico (Camelus ferus) specie distinta dal parente domestico, la gazzella subgutturosa (Gazella subgutturosa), la saiga (Saiga tatarica), il cavallo di Przewalski (Equus przewalskii), mentre prossimi alla minaccia e oggetto di conservazione a livello globale sono il khulan (Equus hemionus), l’argali (Ovis ammon), la lince centroasiatica (Lynx lynx isabellinus), il gatto selvatico asiatico (Felis lybica ornata), il ghiottone (Gulo gulo)… l’elenco è lunghissimo.

Qui è un vero paradiso per gli amanti della natura e anche incontri meno “spettacolari” possono lasciare il segno. Ricordo che la prima volta che vidi l’Allactaga sibirica (un topo canguro della Mongolia) me ne innamorai completamente. Oppure mi è rimasto impresso un incontro ravvicinato con un argali, una pecora selvatica che raggiunge i 200 chili incluse le corna enormi: la incontrai lungo una “strada” sterrata e mi fermai per vedere che non fosse ferita perché di solito scappano all’arrivo dell’uomo; non era ferita, rimase lì, imponente, a una decina di metri (di più non mi azzardai) a fissarmi. Non mi sono ancora spiegato quello strano comportamento… forse era un esemplare addomesticato? A volte in Mongolia purtroppo capita che qualcuno addomestichi specie selvatiche, lupi compresi…

Operate solo nelle zone desertiche e in steppa?

No… e a riguardo voglio darvi questo scoop che non ho ancora annunciato a nessuno… a breve partiremo per una spedizione nei pressi della foresta di Khentii in collaborazione con l’Università di Udine e la National University of Mongolia.

È un progetto molto importante perché andremo ad indagare sulla presenza del gatto leopardo (Prionailurus bengalensis), in base al ritrovamento di una carcassa, un animale che non è mai stato segnalato in Mongolia. Gli esemplari più vicini sono a 1000 km di distanza in Manciuria. 

E come è possibile?

Ancora dobbiamo capirlo. Una delle ipotesi più affascinanti è che ci sia una popolazione relitta che dall’area protetta si sia diffusa nella foresta circostante. Il parco è grande come il Lazio e l’interno è praticamente inesplorato. Tieni conto che per inviare merce e alimenti  ai militari mongoli in quella parte di confine con la Russia coincidente con i confini del parco si attraversa parte della Russia, invece di attraversare la foresta incontaminata e selvaggia. Un ranger mi ha giurato di aver visto un leopardo delle nevi attraversare un torrente anche se non è assolutamente un habitat tipico per questo animale. Potrebbero esserci delle scoperte inaspettate, staremo a vedere.

Pazzesco…

L’ultima domanda e poi ti lascio tornare al lavoro. È fattibile organizzare delle escursioni per l’avvistamento della fauna e del gatto di Pallas? Quali rischi o benefici può portare un turismo di questo tipo?

Grazie per avermi fatto questa domanda. È un argomento delicato.

Noi ogni anno organizziamo diversi campi didattici dove gli ospiti partecipano attivamente al lavoro sul campo, al posizionamento delle camera trap, all’analisi dei dati ecc. e abbiamo anche altri campi con un numero limitato di partecipanti più indirizzati all’osservazione e alla fotografia. Gli introiti di queste attività vanno a finanziare interamente un nostro progetto di coinvolgimento della popolazione locale nella nostra attività di monitoraggio attraverso il posizionamento, la manutenzione e la gestione delle trappole fotografiche, fondamentali per il nostro lavoro. Dieci famiglie verranno sostanzialmente in maniera importante sovvenzionate per collaborare con noi.

Esistono numerose guide locali che vi possono accompagnare negli avvistamenti, ma recando un danno sostanziale, per cui e’ importante fare molta attenzione e informarsi bene prima di affidarsi a qualcuno ed in particolare ai locali. A volte si sceglie di affidarsi ad un abitante locale in buona fede: “faccio lavorare direttamente i locali che cosi avranno da vivere”, il che apparentemente è una cosa buona, ma raramente virtuosa e quasi sempre dannosa. Ci sono ottimi fotografi professionisti e guide magari con grande preparazione sul campo ma scarsa preparazione scientifica e una inesistente sensibilità ambientale. Quindi (e ne ho le prove) è successo che in periodi delicati per i felini come lo svezzamento, disturbati troppo e da troppo vicino, questi abbiano abbandonato le loro tane spostandosi chissà dove e correndo rischi enormi per la prole. In questi anni diversi mongoli si sono improvvisati guide turistiche per fotografare i gatti di Pallas con il risultato della scomparsa di intere popolazioni da determinate aree! 

Questo non è accettabile e buona parte della responsabilità ricade sui turisti occidentali, che siano fotografi senza scrupoli o magari semplicemente ingenui. Ci vuole etica professionale da parte di tutti e solo così sarà possibile che gli abitanti locali, Ong come la nostra, fotografi e ovviamente i nostri felini raccolgano i frutti di un turismo responsabile. Posso assicurare che noi rispettiamo il numero massimo di partecipanti per spedizione (6) in periodi prestabiliti a seconda dell’attivita’ da svolgere.

Vuoi aggiungere qualcosa prima di salutarci?

Sì, vorrei citare i miei colleghi di progetto: il Dott. Stefano Anile (Ph.D.) e il Prof. Clayton Nielsen (membro della IUCN Cat Specialist Group) della Southern Illinois University (USA); il Prof. Munkhtsog dell’Academy of Science che è il massimo esperto di felini in Mongolia e lo studente mongolo Enkhzorig; i tre tecnici faunisti Fabio Dartora, Andrea Vendramin BSc. e Giovanni Bombieri Msc., che forniscono un contributo fondamentale; e il fotografo naturalista Giacomo De Donà.

Grazie mille Claudio della tua disponibilità. Ci aggiorneremo prestissimo per informare i nostri lettori dei camp che state organizzando per l’anno prossimo e soprattutto del – chiamiamolo misterioso – ritrovamento del gatto leopardo…

Foto di Claudio Augugliaro

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