Recensioni – Da solo nelle terre selvagge

Chi non ha amato Christopher McCandless (un sontuoso Emile Hirsch nel film di Sean Penn), il Supertramp celebrato nelle pagine di Into the Wild di John Krakauer, che rifiutando i diabolici meccanismi del capitalismo statunitense terminò il suo viaggio nelle terre selvagge del Parco del Denali, in Alaska, dove morì di fame (o per aver ingerito alcune bacche velenose) a soli 24 anni? McCandless incarna il mito della fuga nella natura incontaminata che emerge sempre più spesso nell’uomo contemporaneo, talora accompagnato da un senso di dolorosa urgenza: rifiutare le regole soffocanti di una società sempre più complessa, i labirinti della burocrazia, i rapporti sociali, anche se questo significa rinunciare a comfort e comodità cui siamo tanto abituati da darli per scontati. Ebbene Richard Proenneke, il protagonista di Da solo nelle terre selvagge (Piano B editore, 2020), a una prima superficiale analisi potrebbe sembrare un precursore delle scelte del Supertramp e invece ne è molto lontano. Se nel secondo caso è il rigetto di un modello economico e sociale che spinge alla scelta istintiva della fuga, in Proenneke è la consapevolezza di sé, il desiderio di mettersi alla prova e di farcela. Non allontanarsi dal mondo, ma vivere felici unicamente con i propri pensieri e la propria compagnia, ritrovare sé stessi nella ciclicità della natura, nei rapporti con le stagioni e gli animali.

Una sfida vinta: Richard Proenneke ha trascorso quasi trent’anni della sua vita in solitudine in una baita costruita con le sue mani sul limitare di una foresta in riva ai Twin Lakes, in Alaska. In precedenza carpentiere, meccanico, pescatore, ha fatto tesoro delle esperienze della sua vita per sopravvivere in un contesto meravigliosamente edenico ma certamente non facile dove ha saputo trovare un nuovo senso alle cose (il primo Natale trascorso ai Twin Lakes in perfetta solitudine ne è un perfetto esempio). Le decine di pagine che descrivono la costruzione della baita rendono splendidamente l’idea di cosa significhi saper lavorare con le mani, ma anche quanto serva per creare qualcosa dal nulla, il racconto della preparazione dei pasti (effetti collaterali: una costante voglia di focaccine, stufato di caribù e mirtilli) ci mostra cosa voglia dire riconquistare il tempo, non esserne più schiavi.

Ma Da solo nelle terre selvagge è più di un semplice diario di una fuga into the wild, molto di più. Le innumerevoli fotografie scattate da Proenneke, i video che ha raccolto negli anni e che sono serviti da base per il documentario Alone in the Wilderness, raccontano tanto quanto le parole gli spazi aperti, i fiumi, i laghi e le vette della regione dei Twin Lakes ma sono anche un grande viaggio nell’etologia della fauna dell’estremo nord. Le apparizioni dei maestosi alci, la vita dei caribù (con le strazianti pagine sul tentativo di adozione di un piccolo) e dei grandi predatori come lupi e orsi, la ferocia del ghiottone o dell’ermellino, la quotidiana presenza delle ghiandaie, delle volpi e soprattutto di uno scoiattolo rosso che condividerà gli spazi del nostro per tutto il primo inverno sono per gli amanti degli animali pagine emozionanti, che da sole valgono la lettura.

Attenzione: un libro pericoloso, che può portare a scelte estreme!

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