
È difficile raccontare un animal-trip che avrebbe dovuto essere e non è stato… Per ovvie ragioni, leggasi pandemia Covid-19, abbiamo rinunciato ad un itinerario da sogno che comprendeva un complesso piano di voli, cosicché a metà luglio abbiamo deciso per qualcosa di più vicino, un viaggio itinerante negli Appennini.
E così, nel nostro girovagare agostano abbiamo dedicato una decina di giorni ad un Parco Nazionale non eccessivamente noto (per fortuna) ma ricchissimo di spunti naturalistici : il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna, in altre parole il Casentino.
Ci eravamo stati già 8 anni fa, con nostro figlio allora piccolissimo, quindi eravamo a conoscenza di qualche interessante trekking. Ed ecco, tra le non poche difficoltà di prenotazione last minute, troviamo un hotel a Campigna, su uno dei crinali del parco.

Sia chiaro, agosto non è il periodo migliore per gli avvistamenti faunistici ma con un po’ di attenzione e spirito di avventura abbiamo comunque portato a casa qualche soddisfazione.
Come altre aree protette, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi nacque da una antica riserva di caccia dei Conti di Lorena che nel XIX secolo si erano prodigati sia per un’opera enorme di rimboschimento, grazie all’attività di un botanico di corte, che al ripopolamento faunistico a scopo venatorio (anche con specie non propriamente autoctone).
Prezioso è stato poi l’intervento di uno straordinario personaggio contemporaneo, il centenario Fabio Clauser che, negli anni 50/60 del secolo scorso, si è opposto al taglio dell’ultimo lembo di foresta quasi originale. Alla sua visione ambientalista si deve l’esistenza dell’attuale Riserva Integrale di Sasso Fratino che accoglie faggi vetusti anche di 500 anni (per conoscere meglio questo straordinario personaggio, vi consiglio https://www.ibs.it/parola-agli-alberi-libro-fabio-clauser/e/9788865001318)
Ma torniamo a noi ed eccoci tutti e tre pronti, con i nostri scarponi ai piedi. Alla fine, il mio GPS da polso conterà circa 90km di cammino con circa 5.000 md+. Non pochi.
Chi si aspetta paesaggi alpini, picchi scoscesi e pietraie resterà deluso: basti pensare che il monte più alto, il Falco, è solo un crinale e non ha visuale, mentre solo il vicino Falterona con la sua croce ricorda una cima.
Però qui i boschi, o meglio le foreste “sacre”, sono meravigliose, e il solo attraversarle a piedi rappacifica lo spirito.

Racconterò di 2 hotspot. Il primo è la Golga nera, un antico lago formatosi da una frana risalente al XIV secolo e che deve forse la sua sopravvivenza ad una antica credenza popolare che attribuì sinistri presagi ai mulinelli (golghe, apunto) che vi si formarono.
Ora lo stagno che ne rimane è la casa della rana montana per antonomasia (Rana temporaria). Diffusa in vaste aree d’Europa, a queste latitudini fissa la sua frontiera meridionale (vero è che ci sono sparute apparizioni anche in Abruzzo).
Noi ci siamo arrivati dopo una lunga camminata per crinali, e subito ci siamo messi sulle passerelle in legno intenti con lo sguardo sull’acqua. Attorno a noi un paio di tavolini da picnic con qualche gitante più incuriosito dai nostri “strani” comportamenti che dal più importante ospite della zona. Non ci curiamo di loro, siamo qui per altro…

Avvistiamo subito centinaia di giovani esemplari già formati che sgusciano dalle acque melmose. La loro numerosa presenza è un buon segnale per la specie, oltre ad evidenziare l’enorme importanza di questo biotopo.
Però noi vorremmo immortalare un esemplare adulto (ce lo meriteremmo dopo tutta la fatica fatta), così esploriamo con gli occhi tutto lo stagno, finché finalmente… ecco una sagoma rossiccia, impassibile e noncurante delle nostre attenzioni. Obiettivo di giornata raggiunto!!!

A dire il vero ci è capitato poi di incontrarla anche in un altro paio di ruscelli (come pure un gambero di fiume), cosa che fa capire la bontà delle acque e delle fonti.
Alla Golga avvistiamo anche la sagoma di una tartaruga “dalle orecchie rosse”, una alloctona, che prontamente segnaliamo alla sede dei guardiaparchi. Ci rispondono che sì, purtroppo la sua presenza è confermata anche qui…
L’altro hotspot è la Foresta della Lama, cui arriviamo su consiglio dei guardiaparchi con la flebile speranza di incontrare un altro piccolo ma importante ospite del Parco, un coleottero questa volta, la Rosalia alpina, in quella zona studiata e documentata.
La Lama riveste un’importanza vitale nella zona, in quanto si trova nel mezzo del parco, ad altitudine relativamente bassa rispetto alle rigogliose foreste di faggi e abeti che la circondano, ma soprattutto perché raccoglie le acque dei torrenti che qui ristagnano prima di confluire nel sottostante lago di Ridracoli. Non a caso è un altro biotopo importantissimo per gli anfibi.
Ovviamente noi non abbiamo la “botta di culo” di incontrare la rosalia, dobbiamo accontentarci di un suo lontano cugino che zampetta su una corteccia di abete, un Bupertis che riconosceremo più tardi come rustica.

La nostra attenzione però cade su un cartello apposto dalla Forestale che avverte di non toccare le numerose fototrappole installate tutto intorno intorno, usate per immortalare la presenza del procione (Procyon lotor)!
Incuriositi ci informiamo in rete e scopriamo che qualche tempo prima sono fuggiti degli esemplari dallo zoo di Poppi, che qui hanno trovato fortuna, creando purtroppo danni rilevanti alla fauna locale … altro esempio di specie aliene invasive, anche se in questo caso semplicemente in cerca della propria libertà.
Avremmo voluto raccontare di altri avvistamenti, visto che abbiamo anche partecipato a due escursioni guidate. La prima, in notturna, che però ha visto tra i partecipanti anche dei bipedi troppo casinari e poco interessati (chissà perché poi questi personaggi pagano per venire a disturbare…).
La seconda invece è stata un’interessante gita serale in canoa nelle acque del lago di Ridracoli, dove la guida tra le altre cose ci ha raccontato che spesso si possono incrociare i daini che nuotano per passare da una sponda all’altra. Per molti anni le loro teste emergenti dalla superficie hanno alimentato la credenza popolare che ci fossero dei coccodrilli nel lago (Beh, ci dicono che la cosa non è così campata per aria, visto che il famoso Conte di Lorenane aveva effettivamente liberato uno, catturato in seguito, che ora però è in mostra, impagliato, nella foresteria del Monastero (non l’Eremo) di Camaldoli.
Concludo con alcuni consigli per preparare al meglio la visita:
Carta escursionistica 1:25.000 edita dal Parco
Libro A Piedi nel Parco di Sandro Bassi
WEBMAPP, App x Smartphone edita del Parco (PNFC)
e poi dividerei i soggiorni in due zone dato che gli spostamenti sono un po’ lunghetti … zona di Campigna per visitare la parte del Falterona, Valle Oia e Campigna stessa; zona toscana di Badia Prataglia per la parte della Lama, dei Boschi di Camaldoli e della Verna.
Testo e foto di Marco Ciccone
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