Che ci crediate o no, esiste un posto ove ci si può imbattere in alcuni “portali” che permettono di viaggiare a ritroso nel tempo. Ne ho avuto la riprova appena poche settimane fa, quando ho accompagnato un gruppetto di una decina di persone. Basta crederci, basta voler esplorare la Natura non solo con gli occhi ma con tutti i sensi che abbiamo. Un po’ come Peter Pan, ma mentre questi è il personaggio di una fiaba, di un cartoon, qui le cose si toccano con mano, non con la fantasia.

Salendo per quello che non solo per me è un percorso pur breve e facile (difficoltà E) ma di un’immensa bellezza … no, mi correggo, mi devo correggere: basta usare superlativi e basta abusare del termine “meraviglioso”: mi atterrò solo ad una nuda descrizione: sarete poi voi che mi darete il vostro parere e non abbiate paura a scrivermi su Messanger o WhatsApp o per mail: alla fine, quasi a riprova del fatto che abbiate letto tutto quel che mi viene così, d’impulso, da scrivere, lascerò tutti i miei recapiti.
Quando ho chiesto a queste persone che ho accompagnato di portare una benda, oltre alla mascherina chirurgica/guanti in lattice/gel sanificante, probabilmente mi avranno preso per uno “strano”, e lo avranno sicuramente confermato quando, nel mezzo del bosco, davanti ad una serie di ponticelli su di uno stretto torrente, gliel’ho fatta indossare senza nulla anticipare di quel che avremmo fatto. Qualche incertezza, visto che il sentiero è in leggera salita con alcuni massi in mezzo, ma ecco che dopo un poco il timore svanisce: iniziano a guardare non più solo con gli occhi, distrattamente, ma con i piedi, con le orecchie, col naso, e con la massima concentrazione per via della paura di inciampare o di finire a bagno. Mezz’ora per percorrere poche centinaia di metri. Visi che iniziano a rilassarsi e a sorridere. Forse, dai, questo qui che ci accompagna non è poi così strambo! Fatti due/trecento metri, stacco dai compagni il primo della fila e in silenzio, pian piano, lo porto lontano dal gruppo, lo faccio sedere comodo su un sasso, lasciandolo sempre bendato. Così anche per gli altri, che disloco in vari punti della valle glaciale che si è aperta, ma loro non lo sanno, davanti ai loro occhi che non vedono ancora. Qualche minuto in silenzio. Poi passo piano piano a dare un colpetto sulla spalla a ciascuno e sussurro: “sbendati”, assistendo alle loro espressioni e vedo in tutti, tutti, nessuno escluso, stupore, meraviglia, gioia. No, non è strambo, questo! Ed ecco che ho carpito la loro fiducia ed il loro interesse. Cosa vedete, ora? L’esperto birdwatcher vede la cinciallegra, la cincia mora, il prispolone; un altro vede dei fiori sconosciuti molto attraenti ed interessanti (gigli martagoni e gigli rossi).

Un altro ancora vede un crinale, dei canaloni, una prateria d’alta quota con in cima una croce (sì, quella croce che degli amici andati in Tibet tanti anni fa avevano chiesto ad un vecchio sarto locale di ricamare in cima al profilo dei Balzi dell’Ora sulle loro camicie blu tutte uguali, e che il sarto si era rifiutato di fare perché sulla cima dei monti c’è Dio, ma non può esserci una croce). Io, inizio a raccontare, vedo un oceano, con grandi depositi sabbiosi, vedo frane, con correnti di torbida, che trasportano le sabbie a ridepositarsi lontano, prima il materiale più grossolano, poi quello più fine, poi pian piano il limo sospeso nell’acqua … siamo nell’Oligocene superiore e quello che vedo è l’Oceano Ligure-Piemontese, ove pian piano questi depositi, per compressione, danno vita al macigno, a strati più o meno spessi di arenarie, di marne, di argille; sento anche il cozzare della placca africana con quella europea ed il lento ma costante innalzarsi di questi depositi dai fondali marini fino agli attuali 1945 metri sul livello del mare; poi sento freddo, e da un periodo compreso tra i 60 ed i 30 milioni di anni fa siamo ora tra i 110 ed i 12 mila anni fa, sento freddo perché qui, sopra, di noi, si alzava e scivolava un ghiacciaio, la cui lingua si estendeva per chilometri fin giù, oltre il Santuario, ma qui, ove siamo noi ora, ove sgorga questa sorgente che mi piace pensare attinga ancora acqua dal disgelo di questo ghiaccio, era proprio il suo cuore: ghiaccio per uno spessore di centinaia di metri, fino a ricoprire questi canaloni, quella croce lassù, ghiaccio che levigava l’arenaria … Ed ecco che improvvisamente si apre quel portale spazio temporale a cui accennavo, perché guardate ove siete seduti ora: proprio su quella sabbia depositatasi tra i 60 ed i 30 milioni di anni fa, su quel blocco di arenaria che era sabbia ed era lassù in cima, che il ghiaccio, il vento, la pioggia, hanno spaccato e trascinato a valle per offrire un comodo appoggio alle vostre terga.
E quell’avvallamento che si intravede là sotto, ora un crocicchio di sentieri? Non penserete certo che prima che il CAI segnasse quei sentieri non ci fosse nulla, solo boschi? Intanto, boschi, a queste altezze, ce n’erano meno, più radi, come risulta dalle indagini palinologiche, e c’era tanta prateria, utilizzata nei mesi centrali dell’anno per il pascolo delle pecore. Fin dalla preistoria, perché proprio là, in quel crocicchio, sono stati trovati tantissimi reperti di pietre lavorate dall’Homo Sapiens, probabilmente pastori che arrivavano dalla Toscana e che qui si fermarono per svariati mesi e per svariati anni e per svariati secoli di seguito. Perché proprio dalla Toscana? Perché i resti di lavorazione delle pietre ci indicano trattarsi di minerali tipici di una certa zona di quella regione. E perché proprio qui si fermarono? Non solo per i pascoli, ma per la presenza di abbondanti sorgenti e di una vena di quel diaspro nero, altro minerale utilizzato dai nostri avi per produrre altri strumenti di lavoro, i cui resti di lavorazione si possono ancora rintracciare proprio in quel crocicchio.
E poi? Dalla preistoria ad oggi? Montagne abbandonate, pochi centri sparuti, pastori e qualche pecora? No, carissimi, questa è la visione odierna della montagna, ove tutto quel che non è metropoli, è nulla. Non solo i Romani, nella grande selva litana che ricopriva queste montagne, ebbero il loro bel da fare per liberare la zona dalle popolazioni celto-liguri, ed i resti di qualche castelliere ancora visibili in zona ce ne danno dimostrazione, oltre a quel fatidico muraglione che, forse, difendeva proprio l’ultimo accampamento dei liguri attaccato e distrutto dai Romani nel 176 A.C.; ma anche Astolfo, re dei Longobardi, nel 753 ebbe ad occuparsi di queste zone, lasciandole al cognato Anselmo, priore dell’abbazia di Nonantola, e quindi, il 29.05.801 anche Carlo Magno, per via di una contesa attinente alla cacciata di frate Orso dalla chiesa di Lizzano in Belvedere. Per non parlare dello sviluppo, nel Medio Evo, di alcuni piccoli centri, ove passavano le principali arterie di comunicazione tra la Toscana e l’Emilia (la Porrettana era ancora lungi dall’esser ideata), dei Lanzichenecchi e quindi della Linea Gotica, ultimo baluardo nazi-fascista contro l’avanzata degli Alleati, conquistato dai reparti americani specializzati nei combattimenti in alta montagna (Decima Divisione da Montagna) dopo il sacrificio di partigiani e delle truppe brasiliane.
Ma qui fermiamoci, non andiamo troppo oltre: ovunque si posi lo sguardo su queste montagne, c’è storia, recente, passata, trapassata remota, com’anche ben si può imparare da quel piccolo gioiello ch’è il Museo del Quarzo a Lizzano in Belvedere.
Veniamo ora alla Natura di questi monti che, lo avrete oramai capito, sono ricompresi nel Parco Regionale del Corno alle Scale, in provincia di Bologna. Un Parco costituito nel 1988, che comprende uno svariato numero di zone SIC e ZPS, a dimostrazione dell’importanza della geologia, della flora, della fauna, oltre che, come visto, della storia che ancora si aggrappa ad ogni pietra della zona. Un Parco con una sede, purtroppo, dislocata a decine e decine di chilometri di distanza, ove gli echi di quel che accade entro i suoi confini neppure giunge. Quindi una struttura amministrativa praticamente assente, con i due centri visita del Parco spesso chiusi, vecchi e completamente da reinventare. Ma un Parco ove la Natura è ovunque e colpisce con la sua bellezza i visitatori che gli si avvicinano a cuore aperto, come i ragazzi appena sbendati di prima.

Una Natura veramente ricca, una grande biodiversità, dal momento che il massiccio del Corno alle Scale si erge come scoglio a delimitare le aree di clima continentale a nord e le aree di clima mediterraneo a sud.
Quindi una flora che, nonostante la latitudine, presenta alcune peculiarità tipiche di zone mediterranee, come il diffuso e profumatissimo timo serpillo, e altre tipiche di zone fredde, come la Primula auricola, o piante comunque rarissime come la pianta carnivora Pinguicola vulgaris e l’orchidea Epipogium apyllum, detta orchidea fantasma perché, pur essendo perenne, può non fiorire per diversi anni, oltre alle innumerevoli altre specie orchidacee di cui la zona è veramente ricca.

Il tutto immerso in immensi boschi di faggio che, partendo laggiù in basso ove il castagneto più non si spinge, lambiscono le cime, fermandosi appena poche centinaia di metri sotto di queste per lasciar posto alle praterie di altitudine, caratterizzate da ginepro nano e, soprattutto, dalle piante del mirtillo che tappezzano i prati, con qualche sprazzo di colore dato dall’arancio dei gigli di San Giovanni, dal giallo delle genziane lutee o dal rosso delle genziane purpuree.
Fermatevi un attimo sul Corno alle Scale: allontanatevi di qualche metro dal sentiero di cima, ove purtroppo la vicina seggiovia scarica anche belle signore con le scarpe con i tacchi alti, terrore del Soccorso Alpino, cercatevi un anfratto ove stare in pace ed in silenzio. Sotto ai vostri occhi, è facile assistere alle corse spericolate dei mufloni e poi alzate un po’ lo sguardo: nelle ore calde del giorno, mentre si giovano delle correnti termiche ascensionali, gli occhi possono incrociare il volo delle aquile che dal fondo dei valloni sottostanti si alzano lentamente, in cerca di ghiri e scoiattoli appena sopra la volta dei faggi e quindi di marmotte e lepri nei prati.

E poi il volo improvviso di un lanario o dei falchi della regina in migrazione, od i passeracei come il culbianco, lo spioncello, il codirossone. Avvistamenti tutti fatti personalmente dal sottoscritto nei giorni scorsi, e fatti fare a chi ha dedicato una giornata all’interpretazione della Natura di questo territorio, seguendo me, guida ambientale ed escursionistica, e l’amico Luigi Riccioni, fotografo naturalista, che alla scoperta del Corno alle Scale ed alla sua biodiversità ha dedicato e dedica la sua vita. Con gioia posso dire che eravamo in perlustrazione insieme quando, riposandoci all’ombra di un faggio in mezzo ad un prato, fotografando la muta probabilmente di un serpente saettone, la nostra attenzione è stata attirata da una grossa farfalla, anzi due, no, tre, diverse dalle altre, che ci svolazzavano intorno senza posa, che abbiamo poi individuato essere delle Parnassius apollo, specie considerata estinta in zona. Quindi una biodiversità a cui nessuno finora ha messo il punto finale, dal momento che spesso si segnalano nuove specie di fauna e di flora o si segnala di nuovo la presenza di specie date per scomparse da tempo.
Vi ho accennato ai mufloni, ma la zona è ricchissima di ungulati in generale. Dai caprioli, che all’alba ed al tramonto escono a brucare nelle praterie sommitali, ai daini, ai cinghiali ed ai cervi.

Cervi che pian pianino, sfuggendo ai tiri di schioppo, stanno aumentando la loro presenza, popolando zone da cui erano oramai scomparsi da secoli. Solo un episodio divertente: l’estate scorsa ero in cerca di minerali quando arrivo in una piccola radura con tantissime farfalle: prendo la mia immancabile reflex e col 105 micro inizio a fare qualche scatto quando sento, nella pineta vicino, un “click” di un rametto spezzato: mi volto, cercando di individuare quel che pensavo essere uno scoiattolo, quando invece, a neppure 3, 4 metri, mi trovo un cervo adulto maschio “grasso”, oramai pronto per le fatiche del bramito, che si sfrega il palco in un cespuglio di ginepro. Ecco, questo è quello che il Parco del Corno alle Scale sa offrire, oltre a tantissimo altro che volutamente tralascio per non farne una nuda elencazione (sì, tranquilli, c’è anche il lupo …; e poi, se venite con noi, Luigi vi racconterà di quando ha visto la …, sì, proprio lei, checché ne dicano i grandi studiosi). Andateci, veniteci, calpestate (soprattutto in agosto) sentieri poco battuti, sedetevi, rilassatevi, osservate ed entrate in sintonia: ne sarete ripagati. E poi, a sera, in uno dei piccoli borghi che caratterizzano la zona, dopo magari aver assaggiato qualche prodotto tipico (crescentine, tigelle o fugacine, tortelloni, tortellini, tagliatelle, serviti col vero ragù alla bolognese o sepolti dai porcini, e qui mi fermo perché altrimenti mi sale il colesterolo solo a parlarne), se le gambe ancora vi accompagnano, sedetevi vicino ad una delle tante fontane: vi racconterà storie, o fiabe, preparandovi per una riposante dormita al fresco.
Andate da soli (ma m’arcmand: attenzione alle condizioni meteo che al Corno alle Scale possono cambiare improvvisamente), oppure venite con me e Luigi, che in agosto ed in ottobre abbiamo organizzato alcune escursioni (indicate sul mio sito www.ilbramito.com, oppure sulle mie pagine Facebook Paolo Pifferi e Paolo Pifferi Guida Ambientale Escursionistica).
Bene, se siete giunti fin qui, aspetto davvero i vostri commenti: non è forse il posto più bello del mondo? Per me, che amo stare nascosto entro una siepe di arbusti spinosi aspettando che passi Nerina, la daina melanica così chiamata da mio figlio, o che cammino una giornata per andare a cercare ed a fotografare un fiore mai visto, sicuramente lo è, pur consapevole che esistono altri bellissimi angoli di Natura; e poi, sono goloso di pasta fresca all’uovo con il sugo di porcini, ma non cercatemi al ristorante: quelli che raccoglie e che cucina Luigi, sono il top!
Testo e foto di Paolo Pifferi, guida ambientale ed escursionistica
Cell.: 3479930542 / mail: pifferi1968@gmail.com
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Percorsi consigliati (che sono gli stessi percorsi con le escursioni organizzate da me e Luigi, di cui lascio l’indicazione delle date da noi programmate nel caso in cui siate curiosi di capire cosa voglia per noi dire “interpretare la Natura”):
8 agosto 2020: Polle – Monte Cornaccio – Strofinatoio – Corno alle Scale – Polle
11 agosto 2020: Lizzano in Belvedere – Fiammineda – Lizzano in Belvedere
13 agosto 2020: Cavone – Valle del Silenzio – Monte Nuda – Cavone
18 agosto 2020: Pianaccio – Sboccata delle Tese – Monte Grande – Bagnadori – Pianaccio
24 ottobre 2020: Segavecchia – Coventaccio – Porta Franca – Sorgente Uccelliera – Passo del Cancellino – Monti Grossi – Capannaccia – Segavecchia
31 ottobre 2020: Madonna dell’Acero – Cascate del Dardagna – Madonna dell’Acero