Avevamo contattato qualche settimana fa l’editore Hoepli per intervistare Valentina Scaglia, il cui libro sulle wilderness italiane avrebbe potuto interessare i nostri lettori.. e così è stato (l’intervista è disponibile al QUI).
Contemporaneamente, però, Hoepli ci ha proposto per i nostri followers un’altra lettura, il primo volume di una sua nuova collana dedicata ai grandi classici della letteratura di montagna, le Stelle Alpine. Parliamo de Il giorno delle Mésules. Diari di un alpinista antifascista, scritto da Ettore Castiglioni, il cui curatore, e curatore della collana stessa, è Marco Albino Ferrari. Per quanto la montagna non sia il nostro target fondamentale, il connubio montagna-natura-animali non può non interessarci. Non ci siamo così lasciati sfuggire l’occasione e lo abbiamo subito contattato per un’intervista.
Eccoci, dunque. Partiamo proprio da questa nuova esperienza, la curatela della collana Stelle Alpine di Hoepli. Perché una nuova collana di letteratura di montagna? Cosa offre di più?
La collana, che con grande soddisfazione personale sono stato chiamato a dirigere, si propone uno scopo molto semplice: rendere nuovamente disponibili in libreria grandi classici della letteratura di montagna che ormai è impossibile trovare, se non tra i polverosi scaffali delle biblioteche. Libri apprezzatissimi alla loro uscita, venduti o vendutissimi, continuamente citati, ma che ormai non sono più disponibili in nessun catalogo di editore. Il tutto con una nuova veste grafica, con apparati di note, introduzioni e postfazioni che li impreziosiscono, cartine per poter rivivere i luoghi.
Abbiamo deciso di iniziare con il prezioso diario di un celebre alpinista degli anni Trenta, Ettore Castiglioni, che ha percorso tante vie vicine, sulle Dolomiti, e lontane, in Patagonia, raccontandole da un punto di vista colto, milanese, “laureato” potremmo dire, in cui l’esperienza dell’alpinismo si lega con forza a quella dell’antifascismo. La seconda uscita invece è la riproposizione del citatissimo “I conquistatori dell’inutile” di Lionel Terray, nome di primo piano nell’alpinismo degli anni Cinquanta e Sessanta che già nel titolo sintetizza l’essenza romantica e disperata dell’alpinismo.
Le Stelle Alpine, di cui scaramanticamente non voglio anticipare le prossime uscite, si propongono di durare nel tempo, ricostruendo idealmente una biblioteca di classici senza tempo a cui chiunque possa accedere per innamorarsi o tenere vivo il fuoco sacro dell’amore per la montagna.
Lei ha dedicato molto tempo alla montagna e ormai ne è un profondo conoscitore. Cosa ama di più della montagna? Quali sono le “sue” montagne?
Parto dal fondo, la mia montagna è il Monte Bianco, senza dubbio, che ho iniziato a frequentare in adolescenza con mia madre, anche lei alpinista. Poi, per passione e per lavoro, ho girato tutte le Alpi, che considero un unico vasto territorio che contiene una varietà di mondi. È difficile dire in poche parole cosa io ami della montagna, potrei rispondere come fanno in molti la libertà, il senso di sfida… invece penso che ciò che più mi affascina sia il trasformarsi della montagna in base alle fasce di altitudine, la vegetazione che cambia, la presenza arborea che muta e ad una certa quota cede il passo ai ghiacciai, alla roccia. L’uomo allora diventa ospite, ma solo per poche ore, per pochi giorni. Io amo questo insieme complesso, dal fondovalle alla vetta, non sono un fanatico delle vette.
Lei ha scritto molto ma, tra le sue fatiche letterarie, ce ne è una che ci sta particolarmente a cuore: “La via del lupo”. Perché proprio il lupo? Noi di Animal Trip abbiamo deciso di dedicare giugno proprio a questo splendido animale, con recensioni, racconti, itinerari suggeriti…. Può raccontarci come è nata l’idea del libro?
“La via del lupo” racconta di un viaggio nelle montagne abbandonate dall’uomo dopo il boom economico, le montagne dell’appennino. Scomparso l’uomo, la natura ha ripreso il controllo, è tornata la fauna… e il lupo. Così gli ultimi branchi di lupi italiani nascosti nei primi anni Settanta nell’appennino abruzzese-marchigiano, in Maiella, sui Monti Sibillini, sull’orlo dell’estinzione a causa della caccia spietata e della distruzione sistematica dell’habitat, hanno invece cominciato a muoversi e a risalire la dorsale appenninica. Di generazione in generazione, di lupo in lupo (le introduzioni a scopo venatorio di ungulati hanno aiutato), questi splendidi animali si sono moltiplicati e hanno percorso verso nord la penisola, fino ad arrivare alla Val d’Aosta e più recentemente in Veneto, dove si sono uniti ad alcuni esemplari di lupi sloveni. “La via” del lupo è proprio questa, questo corridoio di pochi km che taglia l’Italia da Nord a Sud.
Il viaggio mi ha permesso anche di guardare un Paese in trasformazione, un’Italia diversa da quella del passato. E così, mentre il lupo per chi deve difendere i propri animali, in primis i pastori, è rimasto quello che è sempre stato, un pericolo da cui guardarsi, in una visione urbanocentrica più moderna ha cominciato ad essere considerato simbolo di libertà e di fierezza e ad essere guardato con occhi nuovi, aprendo nuove prospettive.
Continuiamo a parlare di lupi… ma è riuscito ad osservarli durante le sue uscite in appennino o sulle Alpi?
Mai, mi sono imbattuto in ciuffi di pelo, escrementi… ma non ho mai avuto il piacere di osservare dal vivo in natura un lupo. Sono però sicuro che loro hanno osservato da vicino me, lo ho percepito con chiarezza, e questo mi è sufficiente.
Prof. Gip. Barbatus
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Foto di copertina Ale.Zoc