immagine Camminando tra natura e animali in Alta Valtellina: il giro del Confinale

Animal target: Gipeti, Stambecchi, Marmotte, Cervi, Volpi

Le lunghe e soleggiate giornate estive ci spingono a osare, a testare i nostri limiti fisici, ad avvicinarci ad animali che durante il resto dell’anno si affacciano solo fugacemente alla nostra mente. Cerchiamo così un itinerario di trekking che sposi scenari paesaggistici affascinanti, una ricca fauna e, naturalmente, tanta fatica. Il tutto ad una distanza accettabile da casa.

Il primo toponimo che ci sovviene è subito attraente ed evocativo di misteri impenetrabili e animali selvatici: la Val Zebrù, 12km interamente compresi nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio, raggiungibili proseguendo da Bormio in direzione di Valfurva fino all’abitato di Madonna dei Monti. La Val Zebrù, di origine glaciale, presenta una differenza notevole tra i due versanti: uno roccioso con alte pareti che cadono a picco, l’altro più morbido e ricco di vegetazione, con molti pascoli d’alta quota che arrivano fino agli oltre 3.000 metri di altitudine (la dominano il Gran Zebrù, di 3851m, e la cima Pale Rosse di 3446m).IMG_6908
La Val Zebrù è praticamente percorribile solo a piedi o in mountain bike e ciò ne ha permesso la conservazione. E’ qui presente una delle più vaste colonie di bovidi e cervidi dell’Alta Valtellina (camosci, stambecchi e cervi), oltre alle caratteristiche greggi di animali domestici al pascolo nei vasti prati della valle, tra antiche baite rurali in legno, meta dell’alpeggio estivo.
Le premesse non potrebbero essere migliori.
A tutto questo si aggiunge un’altra presenza animale che domina da molto il nostro immaginario: il gipeto (Gypetus barbatus). Questo incredibile rapace della famiglia degli accipitridi, noto anche come avvoltoio barbuto (a causa delle lunghe vibrisse nere che gli scendono fin sotto il becco) o avvoltoio degli agnelli (a causa invece delle false leggende, ahimè costastegli molto care, che lo vedevano predatore di ovini), estinto dagli inizi del XX secolo sulle Alpi, è stato reintrodotto con successo anche sull’arco alpino. E in Val Zebrù gli avvistamenti non sono così rari (così leggiamo).
Basta. La decisione è presa: Val Zebrù. Per non farci mancare nulla, propendiamo per un giro ad anello, il giro del Confinale (www.girodelconfinale.it), tra le vette del gruppo Cevedale Ortles, che percorre la Val Cedec e appunto la Val Zebrù, con partenza ed arrivo al rifugio Forni.
Il giro del Confinale può essere diviso in 2 o 3 giornate di cammino, ma la prima opzione, decisamente più dura, ci affascina maggiormente. Scegliamo questa.
E’ previsto il pernottamento presso il Rifugio V Alpini (2877mt), quindi telefoniamo per assicurarci il posto. Purtroppo siamo a luglio, è già alta stagione, noi al solito siamo in ritardo: i gestori ci danno una risposta interlocutoria: dobbiamo aspettare che qualcuno non confermi la prenotazione.
Siamo fortunati, è così! C’è posto anche per noi!
E allora prepariamo lo zaino, ci infiliamo il sacco lenzuolo (obbligatorio in rifugio), le provviste per un paio di giorni (anche se la sera mangeremo al rifugio, che offre un servizio ristorante), un k-way, una felpa e poco altro. Vogliamo stare leggeri, non sarà un passeggiata. Per limitare il peso, portiamo solo una macchina fotografica senza ottica di base, con un 70-300, e un binocolo, tutto nella speranza di avvistare i nostri animal target: stambecchi, cervi, marmotte e, per quanto sia un’impresa quasi disperata, il gipeto.
Sveglia 5.30, partenza alle 6.00. In macchina ci dirigiamo verso la Valtellina: Bormio, Caterina Valfurva, la Valle dei Forni. L’ultimo tratto della Valle dei Forni è a pagamento (5 euro per due giorni) ma assicura la possibilità di parcheggio presso l’omonimo rifugio.
Sono quasi le undici quando infiliamo gli scarponcini e mettiamo gli zaini in spalla. Finalmente ci possiamo lasciare dietro tutte le tensioni del lavoro e della città e pensare solo a camminare, a sudare, a salire verso la cima.

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Il percorso è disseminato di vigili marmotte

Il percorso parte dal Rifugio Forni (2200 metri di altitudine) e subito si inerpica verso il Rifugio Pizzini (2706 metri di altitudine). Il sentiero è aperto, molto ben segnalato, impossibile sbagliare. La salita è tosta ma ancora vivibile. Ci guardiamo intorno ma per ora, al di là di numerose farfalle e insetti e di numerosi fiori colorati, non vediamo nessun animale degno di nota. Solo in lontananza sentiamo fischiare alcune marmotte che però, guardinghe, evitano di mostrarsi.
Ci concediamo un veloce pranzo al sacco accompagnato da una birra al Rifugio Pizzini, seduti ai piedi delle scale, e chiediamo ad una coppia di abituali frequentatori di queste valli qualche consiglio per l’avvistamento dei nostri animali target. Ci raccontano che spesso le marmotte si avvicinano al Rifugio Pizzini ma che per cervidi e bovidi, soprattutto per gli stambecchi, bisogna salire decisamente più in alto ed avere fortuna. Accompagnati dal volo di una ballerina bianca (Motacilla alba) riprendiamo il sentiero in direzione del Quinto Alpini. Evitiamo di salire al Rifugio Casati (3269 metri di altitudine), da cui ci dicono di una vista straordinaria, per non rendere ancora più duro un trekking già faticoso. Sarà per la prossima volta.
L’altitudine comincia a diventare significativa e la flora a cambiare: siamo ormai in alta montagna. Pochissimi arbusti, spazi erbosi numerosi intervallati da rocce, paesaggi incredibili. Continuiamo a camminare in direzione del Passo Zebrù, il punto più alto, con i suoi 3010 metri, del nostro itinerario.
La fatica inizia a farsi sentire, la giornata non è completamente soleggiata ma sudiamo molto. In lontananza si intravedono ampie chiazze di neve che ancora resiste alla calura estiva. Cominciamo a temere di non essere equipaggiati a dovere, speriamo di non dovercene pentire.
IMG_7070Arriviamo invece senza troppe difficoltà al Passo Zebrù, ci siamo solo bagnati un po’ le caviglie ma non abbiamo incontrato serie difficoltà nella neve, ormai poca e bagnata. Lo scenario che si offre ai nostri occhi è incredibile: la vista spazia a 360 gradi sulle vette circostanti, possiamo “leggere” cime e valli meglio che sulla cartina. Abbagliati dal riflesso del sole sulla neve, alziamo gli occhi verso il signore di queste lande: il Gran Zebrù domina su di noi con tutta la sua maestosità.
Iniziamo a questo punto la prima discesa prevista dal Giro del Confinale. Terminata la Val Cedec, scenderemo per 400 metri in Val Zebrù fino alla spettacolare cascata alimentata dalle acque della Miniera per poi risalire.
Purtroppo nessun grosso animale in vista, né un camoscio, né un cervo, né tantomeno uno stambecco. Siamo molto dispiaciuti ma adesso dobbiamo pensare alla discesa. Il primo tratto non è semplicissimo, continua ad esserci neve sul sentiero e la pendenza è accentuata. Dopo qualche centinaio di metri però almeno il problema della neve si risolve e, grazie anche ad alcuni passaggi attrezzati con una corda, scendiamo piuttosto velocemente.
Proprio da uno degli speroni di roccia da cui ammiriamo il panorama, di cui non riusciamo a saziarci, scorgiamo qualcosa che si muove in lontananza. Cosa sarà? Corriamo ai binocoli e alle macchine fotografiche… siamo molto distanti ma le corna sono inconfondibili, è uno stambecco (Capra ibex)! Eccolo il nostro primo bovide di giornata! Scattiamo alcune foto da lontano nel timore di vedercelo sfuggire e continuiamo a scendere.
Ci aspetterà? Si concederà alle nostre foto?

 

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Uno stambecco ci osserva prima di allontanarsi

Acceleriamo il passo con speranza, finché proprio sopra il sentiero, su di un prato ben esposto, lo vediamo. Anzi, li vediamo! Tre grossi stambecchi dalle lunghe corna ritorte! Per nulla impauriti, continuano tranquillamente a riposare, alternando ricerca di cibo e momenti di stasi. Stanno mutando il manto in vista dell’inverno, per cui cercano di alleviare il fastidioso prurito grattandosi con le corna o sulla rada vegetazione. Non riusciamo a staccargli gli occhi dosso, le foto si sprecano: sono bellissimi, fieri e potenti, con il loro tipico profilo caprino. Poco più in alto scorgiamo anche un paio di marmotte (Marmota marmota) che rapidamente, fischiando, corrono alle loro tane. Il quadro è completato dai rapidi voli dei gracchi (Pyrrhocorax graculus) tra le rocce scoscese.
Ci fermeremmo per sempre, gli stambecchi nel loro habitat sono uno spettacolo meraviglioso e la poca distanza da loro (non ci siamo comunque mai allontanati dal sentiero) ci consente una analisi molto dettagliata. Ma dobbiamo riprendere la discesa, la strada che ci attende per concludere questa prima tappa è ancora lunga.
Sempre scendendo raggiungiamo la cascata della Miniera, poderosa e ricca d’acqua, e poi iniziamo la risalita verso il Quinto Alpini. Il sentiero, ancora ben segnalato, alterna pendenze più dolci a tratti scoscesi ma la fatica è vinta da un paesaggio di bellezza mozzafiato (tra i fiori e le rocce si aprono panorami vastissimi, è davvero alta montagna!) e dai frequenti incontri con gli stambecchi. Alcuni timidi si allontanano scalando con naturalezza le rocce circostanti, altri ci osservano incuriositi.
Dopo oltre 4 ore di cammino, dopo una svolta, arriviamo su uno sperone di roccia ricoperto d’erba da cui si scorge nitidamente il Quinto Alpini. Appollaiato tra le rocce, sovrasta la conca sottostante. Non sembra né troppo distante né molto in alto rispetto a noi ma, ahimè, scopriremo a nostre spese quanto possano essere ingannevoli le prospettive. Dobbiamo infatti scendere, attraversare la conca e risalire, interamente sul pietrisco sdrucciolevole, per fortuna su un sentiero già tracciato. Incrociamo la strada carrabile che dalla baita del pastore arriva ai piedi del massiccio su cui è issato saldamente il rifugio e continuiamo. La fatica si fa sentire e l’ultimo strappo risulta devastante: arriviamo dopo cinque ore e mezza al rifugio, esausti. Per i primi minuti non troviamo neanche le forze di goderci il risultato… poi lentamente ricominciamo a respirare. Siamo a 2877 metri ma dai nostri volti provati potremmo essere a 5000!

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Una cerva fa capolino dalla vegetazione della Val Zebrù

Ci accolgono immediatamente i volti sorridenti delle ragazze che gestiscono il rifugio, gli uomini stanno lavorando per sistemare gli ambienti del corpo inferiore del rifugio, dove dormiremo anche noi. Ci togliamo le scarpe e ci mettiamo in infradito (a rischio della nostra incolumità perché per passare dal corpo inferiore a quello superiore c’è un breve ma ripido passaggio roccioso… mossi a pietà i gestori ci offrono poi delle crocs decisamente più funzionali). Ci godiamo la sera, i colori, gli spazi. Uno spettacolo indimenticabile.
Quindi doccia calda (a pagamento) e riposo.
La luce scende in fretta, la temperatura ancora più in fretta. Ceniamo al ristorante del rifugio (ottima cena), ci concediamo quindi un Braulio (pure riserva!) e viviamo l’atmosfera rarefatta dei 3000 metri. I cellulari non prendono, nessuna interferenza esterna, per le emergenze c’è un fisso.
P_20160710_062828Un’altra sorpresa ci aspetta prima di andare a letto: dopo cena un paio di volpi arrivano al rifugio a cercare cibo! Sono abituate alla presenza umana, si lasciamo avvicinare ma rimangono comunque sulla difensiva. Gli occhi penetranti e selvatici dimostrano che, nonostante tutto, non sono davvero animali domestici. Scattiamo mille foto con il cellulare e aspettiamo che si allontanino.
Paghiamo cena e camera (55 euro), poi finalmente a letto. E’ presto, non riusciamo ad addormentarci subito. Tra l’altro sappiamo che i ragazzi che dividono con noi la stanza si devono svegliare alle 3 per andare con i ramponi sul ghiacciaio… sarà una lunga notte.
E puntualmente lo è… ci svegliamo alle 6.15 dopo aver dormito maluccio, ci rivestiamo stancamente e andiamo a fare colazione. Abbiamo deciso di partire presto per goderci la giornata, la tappa di oggi sarà di minore dislivello ma più lunga, ci attendono circa 7 ore di cammino.
Salutiamo, ci informiamo sulla reale possibilità di scorgere il gipeto (purtroppo pare cosa piuttosto difficile, ci parlano di poche apparizioni annue, in modo del tutto imprevedibile) e ci incamminiamo. Sono le 7.15. Dal Rifugio Quinto Alpini una lunga discesa, prima su sentiero e poi lungo la strada sterrata, attraversa la Val Zebrù. Passiamo dalla baita del pastore (i cui ottimi formaggi abbiamo assaggiato la sera prima) e giungiamo al bivio del Rifugio Campo (il dubbio di dover salire al Rifugio Campo ci tormenta per un po’, per fortuna evitiamo, avremmo allungato inutilmente). Continuiamo a scendere e attraversiamo un ponticello tra un gruppo di case, in direzione delle Baite di Cavallaro. Scendendo, la vegetazione diventa molto più ricca. Prati e boschi, principalmente di conifere, ci accompagnano nella discesa e poi nella ripida salita che ci porta in una buona mezzora a mezzacosta sul versante opposto, oltre il fiume. Il volo e i richiami delle nocciolaie (Nucifraga caryocatactes) e le fughe improvvise degli scoiattoli rossi (Sciurus vulgaris) rallegrano il cammino. Continuiamo a tenere gli occhi aperti, speriamo in qualche nuovo incontro animale. Il sogno resta veder volteggiare sulle nostre teste il gipeto ma non abbiamo fortuna in questo senso (abbiamo anche attraversato la Val Gipeto ma… nulla).
Quando ormai la fatica ci domina e abbiamo rinunciato anche a scattare foto alle nocciolaie che si avvicinano e si allontanano troppo velocemente, un meraviglioso esemplare di cervo rosso femmina ci attraversa il sentiero. Agile si nasconde dietro ad alcuni arbusti, continuando ad osservarci con gli enormi occhi curiosi e spaventati ad un tempo.
Pienamente soddisfatti procediamo in falso piano fino alle Baite di Cavallaro e poi verso le Baita del Confinale, sempre in direzione del Rifugio Forni. La tappa è molto lunga ma più dolce, la vegetazione, per quanto non siamo scesi al di sotto dei 2000 metri, è completamente diversa dal giorno precedente e per noi più abituale.
La fatica c’è, impossibile negarlo. Facciamo pausa dopo 6 ore all’agriturismo Ables a circa 1 ora di cammino dal Rifugio Forni. Un birra gelata per gratificarci, prima di continuare per la macchina.
Arriviamo nel pomeriggio, stravolti e sudati in modo imbarazzante. Un’ultima pausa al Rifugio Forni e poi a casa… con i ricordi indelebili di una spettacolare escursione.
Abbiamo mancato il gipeto (giuriamo a noi stessi di riprovarci), ma conquistato tutti gli altri animal target!

Contatti: http://www.girodelconfinale.it
Rifugio Forni, mt2000, Santa Caterina Valfurva – Bormio, Tel 0342.935365 | Mail info@forni2000.com, http://www.forni2000.com
Rifugio Quinto Alpini, 2877mt, Val Zebrù – Gruppo Ortles Cevedale, Tel 0342.929170 | Mail info@rifugioquintoalpini.it , http://www.rifugioquintoalpini.it

Prof. Gip. Barbatus

(Tutti i diritti relativi al testo e alle immagini sono riservati, proprietà di Animal Trip)

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2 commenti

  1. […] Mangiamo un boccone ai piedi della diga, restiamo incantati dallo spettacolo del lago di Cingino ancora per buona parte ghiacciato e poi ci dedichiamo a fotografare gli stambecchi. Sono tutti di piccola taglia, femmine per lo più, qualche giovane, in equilibrio perfetto sulla diga a leccare il salnitro affiorante tra gli interstizi. Nessuno stambecco ha corna molto sviluppate, niente a che vedere con gli stambecchi della Val Zebrù di cui vi abbiamo parlato (qui link). […]

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