Spesso, quando si parla di fauna artica, all’improvviso si manifesta un nome, quello di Georg Wilhelm Steller. Altrettanto spesso si va oltre, quasi che dietro il nome non ci fosse altro, quasi fosse una semplice formula decontestualizzata. Ma chi fu questo Steller a cui così tante descrizioni dobbiamo, e di animali mai prima conosciuti? Con la poliedricità tipica del XVIII secolo, Georg Wilhelm Steller (Windsheim, 10 marzo 1709 – Tjumen’, 14 novembre 1746) fu allo stesso tempo un botanico, uno zoologo, un medico e un esploratore. Tedesco per nascita e formatosi presso l’università di Wittenberg, dovette la sua fortuna ai viaggi in Russia e in Alaska.
Una vita breve – morì a soli 39 anni – densa e allo stesso tempo faticosa, spesso condotta in viaggio e senza grandi risorse economiche. Destino volle che incontrasse in Russia, nel novembre del 1734, il naturalista Daniel Gottlieb Messerschmidt (1685-1735) all’Accademia Imperiale delle Scienze su cui fece buona impressione. Arrivò a sposarne, dopo la morte, la vedova, ereditando così numerosi appunti che lo studioso aveva raccolto durante i suoi viaggi in Siberia e non aveva mai consegnato all’Accademia.
Alla ricerca di un posto “al sole”, Steller si offrì volontario per partecipare alla seconda spedizione in Kamčatka di Vitus Bering, che aveva lasciato San Pietroburgo nel febbraio del 1733. La sua richiesta venne accolta e quindi salpò. Il viaggio fu molto “movimentato”, tra rotte da trovare, lunghe soste invernali, traversate in slitta trainata da cani. Infine… giunse finalmente in Alaska il 20 luglio 1741. Bering però voleva restare sull’isola solo il tempo necessario per fare scorta di acqua fresca. Steller lo implorò che gli concedesse più tempo ma ebbe solo dieci ore di tempo. In quanto primo non nativo ad aver messo piede sul suolo dell’Alaska, Steller divenne il primo naturalista europeo a descrivere un gran numero di piante e animali nordamericani, di cui come detto molti portano (o portavano al momento dell’estinzione) il suo nome ancora. Delle sei specie di uccelli e mammiferi che Steller scoprì durante il viaggio, due (la ritina di Steller e il cormorano di Pallas) sono estinte e tre (il leone di mare di Steller, l’edredone di Steller e l’aquila di mare di Steller) sono in pericolo di estinzione o versano in condizioni di grave diminuzione. La sola ghiandaia di Steller non è attualmente minacciata.
La prosecuzione del viaggio fu altrettanto travagliata: una epidemia di scorbuto colpì l’equipaggio (nonostante i corretti suggerimenti di Steller per superare il problema), la nave fece naufragio, quasi metà dell’equipaggio morì.
Pur nelle difficoltà, Steller studiò molto accuratamente la flora, la fauna e la topografia dell’isola, riuscendo ad osservare anche la ritina di Steller, un grosso mammifero sirenide che durante l’era glaciale era diffuso in tutto il Pacifico settentrionale, ma la cui sola popolazione relitta era confinata ai letti di kelp attorno alle isole del Commodoro e che si estinse nemmeno 30 anni dopo essere stata scoperta dagli europei. E poi il callorino dell’Alaska, la lontra marina, il leone marino di Steller, l’edredone di Steller e il cormorano di Pallas, e – mistero ad oggi non svelato – un particolare criptide marino, la scimmia marina di Steller.
Finalmente nei primi mesi del 1742 l’equipaggio utilizzò materiale recuperato per costruire una nuova nave, e fare ritorno così alla baia dell’Avača. Steller trascorse i due anni successivi esplorando la penisola della Kamčatka. Non piacquero i suoi rapporti amichevoli con i nativi (al tempo una grave colpa), fu richiamato a San Pietroburgo e durante il viaggio messo agli arresti. Non arrivò mai a San Pietroburgo, perché, colpito dalla febbre, morì a Tjumen’.
Insomma, vale la pena sapere chi fu Steller.