
Sabato 23 aprile alle 21.00 al Teatro Duse di Besozzo(VA), l’alpinista ed esploratore di fama internazionale Matteo Della Bordella presenterà il suo libro edito da Rizzoli “La via meno battuta”. Un appuntamento voluto dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Besozzo in cui ci racconterà con parole, immagini e filmati le sue esperienze degli ultimi anni.
Una serata immancabile per tutti gli amanti della montagna con quello che è stato definito “uno dei più geniali alpinisti della nuova generazione” (Montagna.TV) e “figura di altissimo livello” (sua maestà Reinhold Messner).
In attesa di incontrarlo di persona al Duse (l’ingresso è gratuito e basta prenotarsi a bibliotecabesozzo@gmail.com) e di ascoltare le sue avventure lo abbiamo sentito per chiedergli qual è il suo rapporto con la natura selvaggia.
Ciao Matteo, a parte la montagna che è ovviamente il tuo “elemento naturale” che rapporto hai con la natura più in generale e quanto ha influito sulla tua scelta di praticare questa attività?

Ciao! Beh per arrampicare e fare alpinismo amare la natura è una condizione imprescindibile. Io per lo meno sono alla continua ricerca di luoghi remoti, inesplorati, pareti sconosciute. Il titolo del mio libro “La via meno battuta” dice molto sulla mia concezione. Ho quest’istinto di andare al di fuori di quelle che sono le montagne conosciute, le vie aperte, i record, le vie più blasonate e come dire “commerciali”. Per me la montagna è esplorazione. E’ il contatto diretto con quello che la natura ti regala e la ricerca di un ambiente, di situazioni che non sono mediate e modificate dall’aspetto umano.
Nelle tue avventure hai fatto qualche incontro “selvaggio” che ti ha colpito particolarmente?
L’incontro più particolare che ho fatto è stato nella spedizione in Groenlandia nel 2014. Proprio l’ultimo giorno di spedizione quando stavamo per rientrare in paese dopo 35 giorni in giro con i kayak ci siamo fermati a dormire in questa casetta abbandonata, più un rudere che una casetta, e la mattina siamo stati svegliati da un ospite che era riuscito a entrare (non era molto difficile a dirla tutta vista la condizione della casa).
Era un orso polare! Ho aperto gli occhi e lo avevo a due metri di distanza. Ci siamo messi ad urlare, a battere le mani per cercare di spaventarlo e farlo uscire e fortunatamente l’animale, anche lui probabilmente disorientato dalla nostra reazione, alla fine è uscito. Ma era comunque curioso e quindi continuava a ronzare intorno alla casa. Ci abbiamo messo due ore per trovare l’occasione giusta per raggiungere i kayak dove avevamo lasciato imprudentemente il fucile. A quel punto finalmente sparando dei colpi in aria l’orso si è spaventato e si è allontanato.

Non so dire se questo incontro mi abbia fatto amare ancora di più questo sport perché insomma trovarsi un predatore di questo tipo in stanza è stato memorabile ma anche abbastanza shockante! – Ride – Ma certo fa parte del gioco. Quando vai in zone sperdute ti devi aspettare di tutto. Certo è bello vedere che è la natura qui che detta le regole, che sono ancora gli animali in alcuni luoghi della terra a fare da padrone e tu ti devi adattare alla loro presenza. Ti fa capire che ti devi ridimensionare.
Come frequentatore dell’alta quota hai probabilmente una visuale privilegiata riguardo ai cambiamenti climatici. Questo inverno particolarmente caldo ti ha creato problemi? Pensi che il movimento dell’alpinismo possa far qualcosa per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo a questo problema?
Sì, certo, i cambiamenti climatici sono un grosso problema con cui abbiamo a che fare sempre di più. Io d’inverno vado sempre a scalare in Patagonia come vi racconterò sabato. Lì il problema del surriscaldamento è particolarmente visibile. Le montagne della Patagonia hanno in cima questi funghi di ghiaccio e neve e quindi con le temperature alte questi si sciolgono e sei soggetto a delle scariche molto pericolose. Qualche decina di anni fa questo fenomeno non c’era o era veramente limitato. Ora sempre più frequentemente ed è un rischio molto grande. Gli avvicinamenti diventano sempre più difficili, i ghiacciai sono sempre più secchi e pieni di crepacci e quindi più difficoltosi da percorrere. Ci si trova a dover riconsiderare le proprie scalate, i propri obbiettivi in funzione dei cambiamenti climatici che si ripercuotono fortemente sulle montagne. Quindi ci dobbiamo adattare e cambiare le nostre strategie radicalmente.
Noi alpinisti cerchiamo di portare alla luce questo problema, di sottolinearlo. Si fa già ma non è mai abbastanza. Diciamo che tanta gente è al corrente di questo problema ma si fa tante volte anche finta di non sentire…

Io cerco nel mio piccolo di adottare comportamenti rispettosi e che a lungo termine siano funzionali all’arginamento del fenomeno del surriscaldamento. Anche nell’approccio alla scalata, all’organizzazione della stessa in modo che abbia un impatto limitato quando possibile sull’ambiente.
Certamente è chiaro che sono scelte difficili, ognuno può rinunciare a qualcosa ma ad altre no. Chi è senza peccato scagli la prima pietra: anche io per andare in spedizione prendo degli aerei e quindi ho certamente un impatto. L’importante è esserne consapevoli e cercare poi di scegliere di rinunciare ad altre piccole cose meno necessarie. E poi, certo, parlarne come stiamo facendo ora in modo da non allentare l’attenzione.
