Diari – Inseguendo gufi e civette con Charles Darwin, il pioniere dei travel blog

In questi mesi le distanze tra i continenti stanno tornando a dilatarsi, dopo che negli ultimi due decenni i viaggi low-cost avevano permesso a milioni di persone di girare il mondo saltando da un continente all’altro, rendendo il pianeta molto più piccolo per tutti noi. I viaggi e il turismo, del resto, hanno subito drammatiche contrazioni ed oggi una vacanza in Argentina, alle Galapagos o in qualche arcipelago in mezzo all’oceano sembra davvero una chimera irraggiungibile.

Andando a rileggersi e rispolverare le cronache di viaggio di grandi esploratori del passato, ci rendiamo conto che raggiungere alcune mete intercontinentali era un successo frutto di sacrifici, pericoli e lunghissimi tragitti, per certi versi addirittura utopici almeno nella loro progettualità. Pensiamo a Cristoforo Colombo che si spinse verso l’ignoto, oltre le famigerate colonne d’Ercole con semplici caravelle di legno o al grande esploratore e cartografo James Cook, con i suoi viaggi interminabili e mozzafiato nel Pacifico.

Le rotte dei viaggi di James Cook. Il primo viaggio è mostrato in rosso, il secondo in verde, il terzo in blu

Per gli appassionati di natura, tuttavia, il vero emblema di questi viaggi memorabili è stato Charles Darwin. Molti di noi conoscono ed hanno letto la sua opera monumentale L’origine della specie. In quel volume troviamo le suggestioni, le ispirazioni e le conclusioni che hanno generato la famosa teoria dell’evoluzione di Darwin. Ma è in un volume precedente, un grande tomo che raccoglie le cronache del suo viaggio sul celebre brigantino britannico Beagle, che troviamo il backstage de L’origine della specie. Il libro, intitolato The Voyage of the Beagle, in Italia ha trovato diverse traduzioni, con titoli diversi, da Un viaggio di un naturalista intorno al mondo a Il viaggio meraviglioso di Charles Darwin a Diario di un naturalista giramondo. In Inghilterra fu pubblicato come prima edizione nel 1839 e fu subito un grande successo, anche perché all’epoca le persone non facevano alcun viaggio, non c’erano fotografie, internet o la televisione a narrare di terre lontane e quindi i naturalisti riuscivano a far sognare luoghi lontani e descritti come terre selvagge e meravigliose. Questo libro è un’opera incredibile, affascinante, scrupolosa nei dettagli, capace di tenere incollati alle pagine e far viaggiare con la mente: una sequenza di immagini narrate da Darwin con uno stile da vero e moderno travel blog!

The Voyage of the Beagle è il diario cronologicamente dettagliato del viaggio che lo vide salpare sul brigantino Beagle da Plymouth il 27 dicembre 1831 agli ordini del capitano Robert Fitzroy. Un viaggio che doveva durare due anni, ma si concluse dopo quasi 6 anni di peripezie tra onde oceaniche e approdi su isole sperdute, meravigliosamente illustrato dai numerosi taccuini di Darwin scritti a mano con osservazioni e illustrazioni.

L’arcipelago delle Galapagos

Pensate quindi alla dimensione di queste mete sperdute sull’orizzonte temporale, su cartine approssimative, senza satelliti, telefoni, dove tutto era affidato alla navigazione con le stelle, i venti e all’abilità di chi conduceva queste imbarcazioni di legno che scivolavano fra le onde. Pensate che prima di raggiungere l’arcipelago della Galapagos, il brigantino Beagle e Darwin attraversarono Capo Horn, che è diventato leggendaria metafora di difficoltà quasi insormontabili: un angolo del mondo inospitale e solitario, battuto da tempeste terribili laddove due oceani si scontrano.

Questo libro appassionante visto con gli occhi di un gufologo diventa ancora più speciale, perché ovviamente Darwin ci descrive incontri meravigliosi con alcuni strigiformi insulari ed endemici che lo stupirono non poco e che sono ancora fonte di scoperte naturalistiche nel terzo millennio! E così, curiosando tra le pagine del capitolo in cui descrive gli incontri naturalistici fatti in Argentina tra Buenos Aires e Santa Fè, Darwin ci racconta l’incontro con le civette delle tane(Athene cunicularia). Leggiamo le parole di Darwin: “La piccola civetta (Athene cunicularia), che è stata citata tanto spesso, abita esclusivamente nelle tane della viscaccia, sulle pianure di Buenos Aires, ma nella Banda Oriental vive in nascondigli che si scava da sé. Durante il pieno giorno, ma più specialmente la sera, si possono vedere questi animali dappertutto, sovente appollaiati in coppie sui monticelli presso le loro tane. Se vengono disturbati, entrano nelle tane oppure, emettendo un grido acuto e aspro, si spostano a breve distanza con un volo notevolmente ondeggiante e poi, voltandosi, fissano ostinatamente il loro inseguitore. Qualche volta si possono sentire schiamazzare di notte. Nello stomaco di due civette che avevo sezionato rinvenni resti di topi e un giorno vidi uccidere e portar via un piccolo serpente. Si dice che i serpenti siano la loro preda abituale durante il giorno. Posso citare qui, come dimostrazione della varietà degli alimenti dei quali si nutrono le civette, che una specie uccisa fra le isolette dell’arcipelago Chonos aveva lo stomaco pieno di granchi di una certa grandezza. In India vi è un genere di civetta pescatrice, che caccia pure i granchi”.

Civette delle tane nella foto di Celso Paris

Il percorso della nave che accompagnò Darwin nelle sue esplorazioni toccò svariate destinazioni dove vivono endemismi davvero particolari che entusiasmarono l’animo dell’esploratore. Davanti all’Argentina c’è un gruppo di piccole isole che incredibilmente sono state oggetto di una contesa accesissima e di una guerra molto recente, negli anni Ottanta del Novecento, tra il Regno Unito e l’Argentina ma anche meta delle esplorazioni di Darwin, parliamo delle Falkland (o Malvinas, con il nome argentino). Un arcipelago con meno di 4 mila abitanti, quasi tutti scozzesi e inglesi, che si è trovato sempre al centro di dispute diplomatiche e di sangue, ma all’epoca in cui vi arrivò Darwin, solo un territorio selvaggio nel quale viveva una sottospecie del gufo di palude.

In questo arcipelago nella parte meridionale dell’Atlantico, vive infatti il gufo di palude della Falkland (Asio flammeus sandfordi), peraltro molto simile alla sottospecie nominale che possiamo vedere anche in Italia.

Uno scatto di gufo di palude del fotografo Gregory Slobirdr Smith

La comunità di questo taxon è oggi ristretta a meno di 100 coppie nidificanti che vivono sulle aree costiere. Come avviene per il loro parente della Galapagos (Asio galapagoensis), di cui parleremo fra poco, la loro preferenze nella selezione delle prede è rivolta alle popolazioni di procellarie e degli uccelli marini che costituiscono la parte prioritaria del loro sistema trofico.

Gufo di palude delle Galapagos nella foto di Joanne Gold

Le teorie naturalistiche di quei tempi furono però sconvolte soprattutto dalle ispirazioni fornite dalla fauna di un altro piccolo arcipelago, stavolta nel cuore del Pacifico e oggi sotto la bandiera peruviana, le Galapagos. Un viaggio lunghissimo, durato anni, con scoperte incredibili che si concentrarono proprio in quel periodo in cui il Beagle ancorò i suoi ormeggi al largo di quelle isole.

Spiagge di Bartolome Island, Galapagos

Tartarughe, fringuelli dai becchi diversi, iguane affascinano ancora oggi i naturalisti di ogni continente quando giungono alle Galapagos, ma in quel viaggio Darwin annotò anche due strigiformi endemici ed uno in particolare ha avuto una storia tassonomica particolare e recente. Per alcuni aspetti possiamo considerare le Galapagos un laboratorio chiave per comprendere l’evoluzione, un passaggio scientifico che ha permesso la scoperta dell’evoluzione come la stele di Rosetta permise di sciogliere gli enigmi dei geroglifici.

Ecco come Charles Darwin descrisse i rapaci notturni della Galapagos: “Raccolsi ventisei specie di uccelli terrestri, tutte peculiari dell’arcipelago e assenti altrove, ad eccezione di un fringuello simile a un’allodola del Nordamerica (Dolichonyx oryzivorus), che è diffuso su questo continente verso nord fino a 54° di latitudine e frequenta generalmente le paludi. Gli altri venticinque uccelli sono: primo, un falco, intermedio in modo curioso per la sua struttura fra una poiana e il gruppo americano dei Polyborus mangiatori di carogne (e con questi ultimi concorda molto strettamente in ogni costume e persino nel tono della voce). Secondo: due rapaci notturni corrispondenti al gufo di palude e al barbagianni dell’Europa”.

In effetti sulle Galapagos esistono due rapaci notturni dal fascino incredibile, poiché, come sovente capita con gli strigiformi, ci sono alcune specie che hanno assunto tutti quei caratteri che appassionano i tassonomici ipotizzando determinazioni più approfondite di quelle che fece Darwin, il quale però riportò le sue osservazioni anche in Inghilterra ad alcuni esperti. Ecco in una nota cosa riportò Darwin per questi due strigiformi della Galapagos: “A pagina 745 del manoscritto ho dato un elenco degli uccelli dell’arcipelago delle Galapagos. I progressi nelle ricerche hanno mostrato che alcuni di questi uccelli, che si credevano allora limitati a queste isole, si trovano anche sul continente americano. L’eminente ornitologo signor Sclater mi comunica che tale è il caso della “Strix punctatissima” e del “Pyrocephalus nanus” e probabilmente anche di “Otus galapagoensis” e “Zenaida galapagoensis”, così che il numero degli uccelli endemici si riduce a ventitré e probabilmente a ventuno. Il signor Sclater ritiene che una o due di queste forme endemiche debbano essere considerate come varietà piuttosto che come specie, ciò che mi è sempre sembrato probabile”.

Guardando i nomi scientifici riportati da Darwin sarete rimasti sorpresi vedendo nomi assai diversi da quelli attribuiti oggi ai predatori in questione. La tassonomia è tuttavia una scienza che nel corso della storia ci ha permesso di assistere a ribaltoni e revival di nomi che sembravano abbandonati o consolidati. L’aspetto importante e rilevante è che oggi il gufo di palude della Galapagos, ritenuto a lungo una sottospecie di Asio flammeus, è classificato come una specie distinta e il suo nome scientifico è Asio galapagoensis (nell’800 era chiamato anche da Darwin con il binomio latino Otus galapagoensis).

Gufo di palude delle Galapagos, nello splendido disegno d’epoca di Elizabeth Gould

A guardarlo con attenzione questo gufo di palude è davvero particolare, molto più scuro del parente americano ed europeo che conosciamo. Peraltro, sovente, i gufi di palude insulari hanno colori più scuri rispetto alla sottospecie nominale olartica (Asio flammeus flammeus), ma in questo caso recenti studi ne hanno determinato lo status di specie endemica.

E il barbagianni di Darwin alle Galapagos? Fu disegnato dall’illustratrice Elisabeth Gould, che era la moglie del famosissimo John Gould, anch’egli illustratore. Nelle opere originali sugli uccelli inserite nella prima edizione del libro di Darwin, Elisabeth illustrò i due rapaci della Galapagos, e tra questi il barbagianni indicato con il nome di Strix punctatissima, in virtù di un colore più scuro della sottospecie nominale che abbiamo anche in Italia e inoltre con una abbondante punteggiatura sul suo piumaggio. Oggi è considerata una sottospecie endemica ed è classificato come Tito alba punctatissima.

Barbagianni delle Galapagos, nello splendido disegno d’epoca di Elizabeth Gould

Il fascino del diario di viaggio di Darwin può stregare chiunque ed oggi, in un momento nel quale i grandi viaggi sembrano lontani e oscurati dagli effetti pandemici, forse possiamo tuffarci nelle pagine di Darwin per compiere un viaggio naturalistico in un pianeta che lui scopriva come vero esploratore e pioniere e che forse in alcuni aspetti non c’è più.

Un consiglio per un viaggio futuro, per un libro da leggere oggi.

Buon viaggio seguendo civette e gufi di Darwin!

Testo di Marco Mastrorilli
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