Fine luglio, caldo. Il lavoro entra in stand-by e noi decidiamo di partire.
Sì, ma dove? Oltre al budget, due i vincoli da rispettare: che sia relativamente vicino e vanti una natura pazzesca. Cerco in rete e trovo articoli, fotogallery e molte classifiche del tipo “50 luoghi naturali da visitare in Europa”. Una meta precisa catalizza quasi subito la mia attenzione e ottiene rapidamente l’approvazione del mio compagno di viaggio. Habitat terrestri e acquatici affacciati sul Mar Nero, non lontani dal Mediterraneo eppure con un non so che di profondamente esotico. Colpisce la natura esplosiva, che riempie gli occhi di verde e blu; colpiscono tutti quegli uccelli, che punteggiano di bianco l’orizzonte. Bene, è deciso. Riserva della Biosfera del delta del Danubio, stiamo arrivando.
Al confine tra Romania e Ucraina, la Riserva della Biosfera del delta del Danubio (RDBB) è un’area grande 20 volte il delta del Po e l’unico delta al mondo interamente protetto. La biodiversità è in effetti altissima, inferiore solo a quelle della barriera corallina australiana e delle Isole Galapagos. Le specie faunistiche sono oltre 3500: si va da vermi, molluschi, crostacei, ragni e ogni tipo di insetto alle 135 specie di pesci, anfibi e rettili, una quarantina di specie di mammiferi, 331 specie di uccelli. Wow.
Per noi, come per quasi tutti i visitatori, il Delta inizia a Tulcea, tra i più importanti porti fluviali dell’area e raggiungibile direttamente in aereo dall’Italia o in circa sei ore in auto, minibus oppure treno da Bucarest.
Il punto informazioni dell’Administraţia Rezervaţiei Biosferei Delta Dunării sito in città è da considerarsi una tappa obbligata se si è diretti nel delta: qui si paga il permesso di accesso alla Riserva. Facciamo un po’ di domande, un po’ ce ne fa la gentilissima funzionaria che ci accoglie; cerchiamo un posto fuori dal mondo e ci consiglia di raggiungere Mila 23, un villaggio di pescatori adagiato in un’ansa del Bratul Dunarea Veche, il “braccio vecchio del Danubio”.
Il servizio di trasporto pubblico fluviale (navromdelta.ro) percorre dalla primavera all’autunno i tre canali principali e alcuni secondari; in inverno invece, nelle aree interne del delta, l’acqua ghiaccia e i paesi più piccoli e isolati diventano irraggiungibili.
Da Tulcea a Mila 23 impieghiamo 4/5 ore di navigazione: ci vorrebbe molto meno con un trasporto privato poco più costoso, ma lo scopriremo solo in seguito. Il viaggio in traghetto è lento ma piacevole, si procede lungo il fiume. Avanzando all’interno del delta, in direzione del Mar Nero, l’acqua prevale sulla terra, le poche strade sugli argini via via spariscono diventando sentieri e ci si sposta a piedi o navigando. Tra Tulcea e il Mar Nero il Danubio si ramifica in tre canali principali – Sulina, Chilia e Sfintu Gheorghe – e innumerevoli canali secondari che suddividono il delta in una fitta articolazione di terra, paludi e foreste.
Per raggiungere Mila 23 bisogna sbarcare a Chilia Vecha – dove arriviamo assetati ma non riusciamo a comprare nemmeno una bottiglia di acqua: era finita! tutto il paese aspettava il rifornimento al porto – per poi imbarcarsi di nuovo su un mezzo più piccolo. Attenzione alle coincidenze: mentre in estate la tratta da Tulcea a Chilia Vecha è servita quotidianamente, per Milas 23 partono al massimo 4 barche a settimana. Saliamo sul piccolo battello in 8 e noi siamo gli unici turisti. Gli altri passeggeri sono una coppia di Vecchi Credenti, gli ortodossi sostenitori delle antiche tradizioni russe, e una famiglia di venditori ambulanti di etnia Rom.
Appena imboccato il canale secondario del Bratul Dunarea Veche, ci rendiamo conto che da qui in poi cambia tutto e ci si trova quasi senza parole a fronteggiare un paesaggio originario, la cui bellezza aumenta in maniera esponenziale a ogni chilometro percorso.
Arriviamo a Mila 23 verso le sei di sera. Sulla riva opposta del canale, decine e decine di uccelli: avvistiamo i primi aironi, uno sparuto pellicano, ma non distinguo altro. Una volta sbarcati, il primo incontro ravvicinato: ad accoglierci sono due cicogne, elegantissime nel loro nido in cima a un alto palo di legno un po’ consunto, maestose e familiari al tempo stesso, ricordo d’infanzia. Le vedremo spesso, nei tre giorni successivi, percorrendo le poche, strette e brevi stradine sterrate di Mila 23. In maniera del tutto fortuita, dopo alcuni tentativi, troviamo alloggio presso una coppia locale: lei si occupa della gestione della pensione, lui è pescatore. Bingo! Dovevamo ancora scoprirlo, ma avevamo appena incontrato un’ottima cuoca, Katy, e una guida faunistica straordinaria, Filaret. Concordiamo, per il giorno seguente, un’escursione privata tra i canali e i laghi dei dintorni. La prima giornata di esplorazione del delta si conclude alla grande: ciorba di pesce e pesce fritto con mamaliga, luna piena e silenzio. Dimentichiamo in fretta di aver appena gustato, inconsapevoli, tranci di siluro.
La mattina seguente Filaret si sveglia alle 5, va a pesca, vende il pesce all’unica barca di commercianti che arriva in zona tenendone una minima parte per la propria famiglia e gli ospiti di Katy. Una volta rientrato, come ogni mattina, pulisce il pesce contribuendo a nutrire la cospicua colonia di gatti del villaggio. Si presenta all’appuntamento con un breve ritardo e poi partiamo, io, Giacomo e Filaret. Noi non parliamo rumeno, Filaret, taciturno di nascita, parla solo rumeno. Comunichiamo a gesti e buon senso: mollare gli ormeggi, indossare i salvagente, il binocolo è sotto il sedile. La navigazione è placida, il delta immobile, i canali come strade dritte e verdi costeggiate da due alte pareti, chilometri e chilometri quadrati di canneto. In pochissimo sia io che Giacomo perdiamo l’orientamento.
A un tratto la barca rallenta, fino a fermarsi, e Filaret ci fa un cenno. Volgiamo lo sguardo. Un martin pescatore! Sta appollaiato su uno sparuto legno conficcato nel suolo, di quelli a cui i pescatori locali agganciano le nasse, a un breve distanza dal limitare del canneto. Lo osserviamo per un po’, lui osserva il pelo dell’acqua e oltre. Il piumaggio è coloratissimo, brillante.
Ripartiamo, diretti a un vicino lago. La navigazione sulla piccola barca, sotto il sole, è rilassante. L’ingresso nel Lacul Trei Lezere, invece, è da cartolina: blu e verde, un milione di ninfee, nessun altro all’interno dell’ampio perimetro lacustre delimitato dall’alto canneto. E uccelli, uccelli, uccelli! A centinaia, di decine di specie diverse. Sterna maggiore, airone cinerino, airone rosso, airone bianco maggiore, cicogna, cigno, svasso maggiore, cormorano, germano, tarabusino, martin pescatore, gabbiamo reale comune, garzetta, pittima, sterna comune, gallinella, marangone minore, nitticora, mignattaio: non li riconosciamo tutti. Grazie a Filaret cogliamo dettagli altrimenti inafferrabili: uno svasso maggiore adulto trasporta sul dorso il suo piccolo, un’altro è pronto alla caccia, quasi del tutto immerso e completamente immobile. Assaggiamo un germoglio colto dalle acque trasparentissime del lago.
Successivamente ci spostiamo di qualche centinaio di metri restando nel perimetro del Lacul Trei Ledere, avvicinandoci lentamente a una numerosa colonia di pellicani. Sono decine e meravigliosi. Se ne stanno lì a galleggiare in gruppo, ogni tanto qualche d’uno vola più a destra o più a sinistra di una decina di metri. Li osserviamo finché uno, per primo, prende il volo e allora a uno a uno tutti gli altri lo seguono, e ciascuno prima si libra a qualche metro dall’acqua e poi prende quota. Avanzano compatti, in stormo, disegnando figure nel cielo con un sincronismo perfetto. Salgono parecchio, volteggiano a lungo: non lo sapevo ma i pellicani sono noti per essere ottimi volatori, nonostante il loro peso.
L’escursione prosegue lungo i canali a volte resi ombrosi dai salici, a volte assolati. Incontriamo ancora pescăruș, pellicani del tipo maggiore e riccio, e altri uccelli già citati. In più avvistiamo qualche altra specie, la sgarza ciuffetto e il falco cuculo. È esaltante e decidiamo di investire in una seconda escursione con Filaret, il giorno dopo.
Questa volta usciamo nel tardo pomeriggio, diretti al Lacul Furtuna. La prima ora la passiamo tra i canali, fa caldo e gli avvistamenti scarseggiano. La nostra guida quasi si scusa e ci porta a osservare attrazioni ritenute forse minori, come un intero stagno ricoperto di rane a pelo d’acqua, fra le quali navighiamo a motore spento. Io e Giacomo ridiamo come bambini, circondati dai rospi e dalle ninfee. Passata la prima ora, e avvicinandoci al tramonto e al lago Fortuna, dal limitare dei canneti vediamo sbucare sempre più spesso esemplari di nitticora, mignattaio, garzetta, tarabusino che restiamo a osservare. Su tronchi ritorti, o nel cielo, cominciano a vedersi gli aironi, rossi, cinerini e maggiori. Sopra le nostre teste, pellicani e cormorani. La luce prima del tramonto rende il paesaggio irreale. Il lago ricorda una distesa di mercurio liquido, il sole è una palla di fuoco all’orizzonte. Quando sei nel delta, non esiste altro che il delta: la natura ti investe e ti fa sentire tutt’uno con lei. Al crepuscolo cominciamo lentamente il rientro, accompagnati da numerosi uccelli che, però, per la scarsità della luce diventa impossibile, almeno per noi, distinguere. Incontriamo qua e là barche di pescatori. L’ultima immagine, prima della notte, è la sagoma controluce di un cormorano, appollaiato su un legno ritorto che affiora dall’acqua in mezzo al fiume. Un’immagine solitaria, fiera, bellissima. Perfetto emblema della vita nel cuore del delta.
Testo di Jessica Silvani, foto di Giacomo Vanetti
©Tutti i diritti relativi a testo e immagini sono riservati, proprietà di Animal Trip
Vuoi inviarci i tuoi Diari di Viaggio? Scopri QUI come