Fotoracconti – La vita segreta del camoscio appenninico

Il meraviglioso camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) è un endemismo dell’Italia centrale e uno dei più rari mammiferi italiani. Come racconta l’aggettivo “ornata”, si distingue dal camoscio alpino (Rupicapra rupicapra) per l’eleganza, evidente nel mantello invernale, soprattutto nella caratteristica fascia di pelo scuro che ricopre gli occhi come una mascherina, la macchia chiara sulla gola e la fascia di colore bruno lungo il collo. A buon diritto, è definito il “camoscio più bello del mondo”.

Uno splendido camoscio appenninico nel suo habitat

Le differenze più vistose tra il camoscio alpino e quello appenninico si riscontrano nella colorazione del mantello invernale che è uniformemente molto scuro nel camoscio alpino, eccetto le zone biancastre della fronte, gola e sottogola, mentre nel camoscio appenninico si presenta di colore marrone scuro con zone color crema (isabelline) sulla gola, ai lati del collo sino alla spalla e sui quarti posteriori. Altre differenze si notano nella struttura corporea, nel portamento e nelle corna che, nel camoscio appenninico, sono molto più lunghe e di diametro maggiore.

I camosci appenninici sono animali schivi, che vivono in gruppi monosessuali  (costituiti  da  femmine  e piccoli)  oppure   isolati,  nel caso  dei maschi. Durante l’estate i gruppi composti da femmine di tutte le età, piccoli e giovani maschi frequentano le praterie in quota, i mugheti e i brecciai tra i 1800 e i 2200 metri. I maschi adulti riproduttori tendono a isolarsi e a rimanere nelle foreste, mentre i maschi giovani sono più gregari e vivono in branchi più o meno numerosi.

Un branco di camosci di età diverse in autunno

Il camoscio è in grado di arrampicarsi per cenge scoscese e precipizi, saltando con grande agilità sulle rupi e attraverso burroni e crepacci; se si sente in pericolo fugge a grandi balzi, ma una volta a distanza di sicurezza si gira spinto dalla curiosità. In questi casi i maschi emettono un fischio di allarme per avvisare l’intruso di non avanzare, altrimenti si rifugiano su ripide pareti rocciose.

Nel corso dell’evoluzione questo straordinario animale ha acquisito una serie di caratteristiche che gli permettono di vivere in ambienti aspri e impegnativi come quelli montani. Il suo cuore è molto sviluppato e ha la capacità di tollerare senza alcun danno frequenze di 200 battiti al minuto in condizioni di sforzo. Il sangue è ricchissimo di globuli rossi per rifornire di ossigeno i muscoli dell’animale alle alte quote. I polmoni sono più grandi degli animali dello stesso peso viventi in pianura.  Gli arti, la muscolatura e i tendini, hanno una conformazione ed una resistenza adatti ad ambienti ostili. Le due dita dello zoccolo possono divaricarsi di quasi 90°, per facilitare spostamenti in discesa e sulle pietraie e sono collegate tra loro da una plica cutanea che, aumentando la superficie di appoggio, limita l’affondamento nella neve. La presenza di robusti speroni contribuisce a migliorare la presa sui terreni particolarmente scoscesi. Un camoscio al galoppo può raggiungere la velocità di 50 chilometri all’ora, può saltare oltre 6 metri di lunghezza e fino a un metro e ottanta di altezza.

Il profilo di un camoscio si staglia sulla cresta rocciosa

Uno dei momenti più appassionanti nell’osservazione di questi mammiferi è la stagione della riproduzione. Le femmine gravide nella tarda primavera si isolano nelle aree di parto, caratterizzate da pareti scoscese, dove tra maggio e giugno danno alla luce il loro piccolo.

Una femmina al sicuro in una isolata area di parto

Poi si ricongiungono gradualmente al branco. La gestazione dura circa 6 mesi e la femmina dà alla luce un solo capretto (i parti gemellari sono rarissimi), già ricoperto di pelo e con gli occhi aperti. I piccoli sono molto precoci e sono in grado di camminare già qualche ora dopo la nascita.

Un gruppo di femmine gravide

Le femmine sono molto premurose nei confronti dei piccoli. Sono sempre all’erta e al minimo pericolo corrono verso i ripari delle rocce con il piccolo affiancato al proprio corpo.  I piccoli camosci giocano insieme soprattutto all’alba e al crepuscolo, esibendosi in lotte in cui ognuno cerca di montare sull’altro, in salti in aria, capriole e reciproche testate. Nei primi mesi di vita la loro livrea subisce delle modificazioni: ad un mese di età è giallo paglierino, a due mesi è di colore grigio, in seguito assume la stessa colorazione degli adulti.

Giovanissimi camosci di due mesi – come evidente dal manto – nell’area di asilo nido

I camosci hanno sviluppato una singolare strategia per consentire alle madri di alimentarsi a sufficienza lontane dalle incombenze dei loro piccoli: l’organizzazione è definita asilo nido. I piccoli giocano insieme, sorvegliati da una o più femmine mentre le loro madri pascolano con tranquillità o controllano il territorio. È emozionante vedere così tanti giovanissimi camosci insieme che si spostano sulle praterie in quota seguendo una femmina come tanti soldatini.

Non è raro assistere a tentativi di allattamento di molti piccoli nei confronti della femmina che svolge il ruolo di balia. La povera femmina ha solo due mammelle ma non si sottrae, per quanto possibile, agli assalti degli ingordi piccoli. Grazie al latte materno ricco di proteine, i cuccioli crescono velocemente e ad un anno di età raggiungono l’indipendenza, ma continuano ancora per qualche tempo a giocare insieme. Sono giochi che svolgono la funzione di allenare i piccoli e i giovani al perfetto controllo fisico, indispensabile per correre e saltare fra rocce e dirupi.

Una femmina fa da balia e allatta giovanissimi camosci anche di altre madri nell’area asilo nido

Già a partire dal secondo anno di vita una parte numerosa di maschi lascia il gruppo delle femmine per unirsi ad altri giovani maschi, mentre le femmine tendono a restare nel gruppo natio. Sono definiti kid i piccoli nati nell’anno, fino ad un anno di vita; yearling i nati nell’anno precedente, quindi fino a due anni. Oltre i due anni di vita i camosci sono definiti adulti.

L’inizio della stagione di riproduzione – non diversamente dal camoscio alpino – si colloca nella prima metà di novembre. I maschi difendono i gruppi di femmine dai competitori, attendendo che queste vadano in estro per accoppiarsi. Le ghiandole sopraccipitali dei maschi in età riproduttiva si gonfiano e secernono un liquido dall’odore molto forte con il quale essi marcano il territorio, strofinando la testa su steli d’erba e cespugli.

Un esemplare maschio con le ghiandole sopraccipitali gonfie, pronto a marcare il territorio

A volte anche i maschi di 6-7 anni riescono a formare un harem, ma difficilmente riescono a mantenerlo poiché quelli più anziani li allontanano, sostituendosi a loro, soprattutto all’approssimarsi dei giorni di ricettività delle femmine. Ogni maschio riesce a rimanere detentore dello stesso harem al massimo per 2-3 stagioni riproduttive.

Un maschio in evidente atteggiamento di corteggiamento nel suo harem

Tenere unito e sotto controllo il gruppo delle femmine è un compito molto impegnativo perché le femmine tendono ad allontanarsi e bisogna continuamente bloccarle e risospingerle nel branco.

Per convincere la femmina a farsi avvicinare il maschio deve corteggiarla approcciandola con atteggiamenti di sottomissione. A quel punto la femmina urina e si sposta con un saltello, consentendo al maschio di annusare l’urina per controllare la ricettività sessuale e, nel caso, continuare a corteggiarla o dedicarsi ad altre femmine del branco.

La femmina urina e permette al maschio di controllare con l’olfatto la sua ricettività sessuale

Nel periodo degli amori si possono osservare gli atteggiamenti di minaccia e gli inseguimenti tra maschi adulti che possono sfociare anche in veri e propri combattimenti cruenti.

Un maschio rincorre un altro maschio per allontanarlo

Più di frequente tuttavia le rivalità tra camosci si risolvono con una lunga serie di rituali dal contenuto aggressivo: richiami di sfida (grugniti), minacce a testa bassa e a collo eretto, inarcamento spina dorsale e innalzamento striscia di peli neri lungo la schiena, esibizione del profilo corporeo, marcature di cespugli, scrollature della muscolatura e delle corna, spruzzo della propria urina sui fianchi, spericolati inseguimenti.

Un maschio adulto scaccia un giovane rivale. Data la sproporzione delle forze in gioco, raramente si arriva allo scontro fisico in questi casi

I maschi misurano così il reciproco vigore e si solito questo basta a far desistere uno dei due rivali.

Questi comportamenti sono molto dispendiosi di energia per il maschio, che ha poco tempo per dedicarsi all’alimentazione. Per tale motivo capita spesso che i maschi arrivino all’inverno con ridotte riserve di grasso e questo costituisce un pericolo soprattutto per i soggetti anziani che rischiano di trovarsi in difficoltà per superare i rigori dell’inverno.

Un maschio inarca la schiena in atteggiamento aggressivo

Con l’inizio delle nevicate termina la stagione riproduttiva e i camosci scendono nelle zone di svernamento.

Il maggiore predatore naturale del camoscio appenninico è il lupo (Canis lupus italicus), soprattutto d’inverno e occasionalmente anche l’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus). L’aquila reale (Aquila chrysaetos) può rappresentare un pericolo per i cuccioli, ma l’attiva difesa delle madri limita di molto questo tipo di pericolo.

Testo di Luca Alberini e Angelina Iannarelli, foto di Angelina Iannarelli

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