Piccole storie di grandi migratori

Arriva la primavera e, con lei, una delle stagioni preferite dai birdwatchers: è tempo di migratori! A seconda delle latitudini e delle conformazioni territoriali – e del meteo ovviamente – le diverse specie arrivano secondo un calendario preciso (che però ultimamente sta cambiando, anticipando gli arrivi, a causa del cambiamento climatico).

In generale, le specie di uccelli che svernano nel bacino mediterraneo, e che devono percorrere un piccolo tragitto, arrivano prima rispetto a quelle che tornano dall’Africa tropicale. Nella Svizzera interna, ad esempio, gli storni e le ballerine bianche arrivano i primi giorni di primavera, più tardi i rondoni comuni e gli usignoli; nell’Italia settentrionale i primi ad arrivare sono solitamente le marzaiole e il biancone ma anche le upupe, le rondini, i rondoni e le cicogne bianche…. sono centinaia le specie che tornano a popolare il nostro Paese a partire da marzo (l’Italia infatti per la sua conformazione è un perfetto “ponte naturale” per superare il Mediterraneo).

Tra i migratori più spettacolari ci sono le cicogne bianche (Ciconia ciconia), qui riprese in Polonia, sulla strada verso la grande foresta di Bialowieza

La traversata è sempre durissima, e il cambiamento climatico sembra addirittura complicare ulteriormente la vita dei migratori, soprattutto di quelli trans-sahariani: la siccità provoca la perdita di peso e una lenta ricrescita delle piume; l’espansione del Sahara lo rende un ostacolo più ostico per la migrazione degli uccelli europei; le estati calde e secche riducono la disponibilità di cibo per insetti per i pulcini. Al contrario, le primavere più calde possono allungare la stagione riproduttiva e portare alla produzione di più nidiate.

In Italia i primi punti di approdo sulla terraferma sono molto spesso le isole tirreniche. Come se non bastasse la lunghezza della migrazione, purtroppo gli uccelli, spesso stremati, devono affrontare ulteriori ostacoli, a partire da vere e proprie “trappole venatorie”. Cacciatori spietati si appostano in punti di passaggio obbligati (come lo stretto di Messina) e falcidiano senza pietà gli animali. Anche l’inquinamento luminoso crescente è fattore di grande disturbo per questi straordinari volatori, per non parlare dell’uso indiscriminato dei pesticidi.

Per far fronte a queste difficoltà, gli uccelli migratori hanno messo a punto strategie sorprendenti. Ad esempio, diverse specie di uccelli migratori interagiscono tra di loro quando compiono il lungo viaggio verso le mete estive o invernali, intessendo delle relazioni ecologiche e sociali solo molto recentemente osservate dagli scienziati.

Altre strategie sono evolutive. Nel corso del tempo, ad esempio, alcune specie hanno sviluppato la capacità di volare ad altitudini estremamente elevate per evitare bruschi cambiamenti di temperatura e condizioni meteorologiche avverse (il record dovrebbe spettare all’avvoltoio di Rüppell (Gyps rueppelli) osservato a 11.300 metri di altitudine, ma anche le oche indiane (Anser indicus) che sorvolano l’Himalaya, quindi oltre gli 8.000 metri di altitudine non scherzano…). Recentemente, poi, il surriscaldamento globale ha spinto molti uccelli migratori a cercare altitudini più elevate del solito per trovare temperature accettabili che consentano loro di continuare la migrazione. Alcune specie adattano i loro schemi respiratori in modo da poter apportare più ossigeno ai muscoli ad ogni respiro. Ciò consente loro di volare per più ore continuativamente durante la migrazione.

Un avvoltoio di Rüppel fotografato nel Parco nazionale di Nairobi, in Kenya

Il record di volo non stop di un uccello migratore appartiene a una giovane pittima minore (Limosa lapponica) che ha volato per 13.560 km dall’Alaska all’Australia (tutto vero e confermato!). Se invece guardiamo al percorso più lungo compiuto dai migratori, il record è della sterna artica (Sterna paradisaea) che, tra andata e ritorno dalle coste settentrionali dell’Inghilterra all’Antartide, percorre oltre 95.000 km. Che numeri impressionanti!

Tra i tanti spettacolari migratori, ci piace però concentrarci su due “uccellini” che è piuttosto frequente incontrare. Piccoli ma determinatissimi, ed entrambi capaci di migrazioni sorprendenti: il culbianco (Oenanthe oenanthe) e il codirosso comune (Phoenicurus phoenicurus).

Uno splendido maschio di culbianco ripreso ai Pian di Spagna (foto di Max Gaini)

Il culbianco è molto diffuso nell’emisfero settentrionale e tutti gli esemplari migrano verso l’Africa subsahariana durante l’inverno boreale, inclusi quelli che nidificano nell’America settentrionale. Nelle Alpi nidifica in habitat d’alta montagna, purtroppo minacciati dalle variazioni del clima e dallo sfruttamento del terreno. In qualità di uccello migratore a lungo raggio, deve adattarsi alle condizioni locali delle zone che attraversa.

Il culbianco ha ali lunghe ed è in grado di offrire impressionanti prestazioni di volo: una parte degli uccelli, che nidifica in Groenlandia, raggiunge con un volo diretto di 3.000 chilometri la Penisola iberica, mentre un’altra sorvola l’Islanda e la Gran Bretagna per arrivare a svernare a sud del Sahara (per svernare, infatti, si sposta a sud del Sahara, in un’area che si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso, fino ad arrivare alla regione dei grandi laghi, in Africa centrale).

Un codirosso comune maschio con il suo splendido piumaggio

Altro straordinario esempio di migratore a lungo raggio è il codirosso comune. Questo coloratissimo uccellino (che tra l’altro svolazza con il suo volo frenetico muovendo la coda davanti alla mia finestra proprio ora) nel maschio ha colorazione spettacolare con il ventre colore arancione vivo, la gola nera, la fronte bianca e le parti superiori color ardesia, sembra quasi che sfoggi un abito di gala. La femmina è meno appariscente con il suo piumaggio beige, ma presenta sempre la coda arancione. Anche il codirosso sverna nell’Africa subsahariana e torna in Europa proprio durante il mese di aprile. Il codirosso comune si adatta molto bene a condizioni diverse, nidifica in montagna anche oltre i 2200 metri di altitudine (li ho personalmente incontrati anche attorno ai 2500 mslm in Val Formazza) ma utilizza diversi ambienti incluse zone agricole tradizionali, vecchi frutteti ricchi di alberi con cavità, giardini nelle città se non troppo “ordinati” e anche boschi di latifoglie.

A causa della dieta insettivora, tra agosto e settembre gli individui ripartono verso sud per raggiungere le savane dell’Africa centrale e occidentale. Per avere le riserve di grasso per affrontare il viaggio devono trovare siti di sosta favorevoli disseminati lungo tutto il loro tragitto. Arrivano nei quartieri di svernamento alla fine della stagione delle piogge e questo permette loro di trovare una grande quantità di insetti.

Che animali incredibili!

Prof. Gip. Barbatus

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