Il fascino mortale delle specie aliene

C’è chi le chiama specie aliene, chi le definisce alloctone… ma il significato non cambia: sono specie che hanno colonizzato territori diversi dagli originari areali storici, autosostenendosi dal punto di vista riproduttivo nel nuovo habitat, con conseguenze imprevedibili. Mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci… l’invasione degli alieni non conosce confini. Qui ci concentreremo solo su alcune specie di uccelli che hanno letteralmente invaso – in modo solo apparentemente innocuo – porzioni di territorio italiano.

Il primo è il panuro di Webb (Suthora webbiana), un simpatico silvide di piccole dimensioni lungo circa 5 cm, con una coda da 7 cm e un becco tozzo e corto che ricorda quelli dei pappagalli. Capita camminando lungo le coste del lago di Varese o in Palude Brabbia o sul Lago di Comabbio, sempre in provincia di Varese, di far sollevare improvvisamente stormi numerosi di questi piccoli uccellini dal colore chiaro con punte di rossiccio sulle penne remiganti e sfumature fulve sul groppone. In continuo movimento, tra le canne della vegetazione ripariale fanno grande confusione. Originario dell’Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea…), dal 1995, a seguito della liberazione di un centinaio di individui invenduti, ha trovato una nuova casa e pare trovarsi benissimo.

Panuri di Webb sotto la pioggia alla Palude Brabbia (foto di Ale.Zoc)

Altrettanto sorprendente il caso dell’usignolo del Giappone (Leiothrix lutea), un passeriforme, quindi in realtà non un usignolo (che appartiene ai Muscicapidi), e neppure proveniente dal Giappone, bensì dal Sud Est asiatico e dalle aree himalayane. Ha però trovato casa anche nel centro Italia, in particolare tra Toscana e Lazio. Bellissimo, verde oliva, ha sotto il becco una macchia gialla che sfuma in arancio verso il petto (nel maschio) mentre nella femmina l’arancione è poco esteso o assente. Il maschio ha un anello perioculare bianco che si allunga fino al becco, di colore rosso acceso. Le estremità delle ali sono colorate di arancione, giallo, rosso. Anche in questo caso una immissione di individui in natura – più o meno volontaria, sicuramente legata al commercio di avifauna – ha prodotto effetti persistenti e ora non è così raro immettersi in questo coloratissimo uccellino in terra italica e in altri Paesi europei. L’usignolo del Giappone è considerato tra le 7 specie più invasive al mondo (siete curiosi di conoscere le altre? Secondo Valeria L. Martin-Albarracin, Guillermo C. Amico, Daniel Simberloff, Martin A. Nunez, Impact of Non-Native Birds on Native Ecosystems: A Global Analysis, in PLOS ONE, 2015, DOI:10.1371/journal.pone.014307 le specie più invasive a livello globale sono: Anas platyrhinchos (germano reale), Pycnonotus jocosus (bulbul dai baffi rossi o dalle orecchie rosse), Garrulax canorus (garrulo canoro), appunto Leiothrix lutea (usignolo del Giappone), Zosterops japonicus (occhialino giapponese), Z. lateralis (occhialino dorsogrigio) e Turdus merula (merlo)).

Usignolo del Giappone (foto di Zeddammer da Wikipedia)

Ancora più impattante il caso dell’ibis sacro (Threskiornis aethiopicus), ormai in rapida diffusione in tutta Italia. Inconfondibile nel suo piumaggio bianco-nero, con la testa ed il collo calvi ed il becco ricurvo, secoli fa era venerato in Egitto (per quanto originario dell’Africa subsahariana) dove paradossalmente ora è quasi estinto. Ricordo che solo una quindicina di anni fa si andava nel vercellese ad osservarne qualche sparuto esemplare, ad esempio tra le lame del Sesia. Oggi è ovunque, recenti stime parlano di oltre 10.000 esemplari solo nel nostro Paese (qualcuno già lo paragona alla nutria come impatto), è arrivato anche in Toscana e addirittura nel Sud Italia. Sono già in atto azioni di contenimento (l’amico Marco Brandi raccontava qualche giorno fa di aver visto di persona un agente sparare dal finestrino dell’auto contro alcuni ibis sacri… che strano modus operandi!), ma forse è già tardi. L’ibis sacro è un forte onnivoro, predatore di uova e pulcini di varie specie di uccelli nativi, come sterne, garzette, anatre, uccelli marini e può entrare in competizione con questi anche per i siti di nidificazione.

L’eleganza del profilo dal becco arcuato dell’ibis sacro (foto di Ale.Zoc) tra le pianure del vercellese

Chiudiamo questa parzialissima galleria citando i parrocchetti, il parrocchetto dal collare (Psittacula krameri) e il parrocchetto monaco (Myiopsitta monachus), ormai non solo stabilmente nidificanti in Italia ma in crescita esponenziale.

Una coppia di parrocchetti dal collare (foto da Wikipedia)

Bellissimi, verdissimi, rumorosissimi i primi (originari del subcontinente indiano e dell’Africa subsahariana), altrettanto rumorosi ma più chiari, con fronte, guance e petto grigio chiaro, ventre giallognolo sfumato in verde, remiganti e timoniere blu i secondi (originari del Sud America). In alcune città (Roma, Firenze…) ormai formano colonie molto numerose e, vista la facilità con cui si riproducono, diventeranno sempre di più.

Parrocchetto monaco

Indubbiamente uccelli bellissimi ma… quali conseguenze avranno sui nostri ecosistemi già fortemente stressati? Sull’avifauna autoctona? Ai posteri l’ardua sentenza

Prof. Gip. Barbatus

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