Il succiacapre, l’uccello-vampiro

Pochi tra i figli dell’aria possono vantare un’aura di mistero e fascino paragonabile al succiacapre (o caprimulgo, con la medesima etimologia, dal latino mulgere, mungere). Straordinario volatore crepuscolare e notturno, migratore di lungo raggio di doppio passo (in Italia più comune in primavera che in autunno), il succiacapre (Caprimulgus europaeus) deve il suo inquietante nome a credenze e leggende che risalgono al mondo classico. Già nella Naturalis Historia, Plinio il Vecchio (I sec. d.C) lo descrive così: «Ugualmente varia è l’indole degli uccelli, soprattutto in relazione al cibo. Sono chiamati succiacapre uccelli dall’aspetto di un merlo abbastanza grande, predatori notturni; durante il giorno sono privi di vista. Entrano nottetempo negli ovili dei pastori e volando si attaccano alle mammelle delle capre per succhiarne il latte. Dopo questa violenza la mammella si secca e le capre, che sono state munte in questo modo, diventano cieche».

Un uccello-vampiro insomma, addirittura in grado di accecare le proprie vittime.

La medesima descrizione troviamo successivamente nello scrittore e filosofo romano di lingua greca Claudio Eliano (II-III secolo), nella sua Περὶ ζῴων ἰδιότητος (Sulla natura degli animali), in cui addirittura il succiacapre «disprezza i piccoli uccelli e assale con grande violenza le capre, precipitandosi in volo sulle loro mammelle e, senza temere la punizione da parte del pastore, ne succhia il latte».

Una tetra fama ma… meritata? Naturalmente no, molto semplicemente i succiacapre frequentavano al tramonto le greggi a caccia di insetti e parassiti del bestiame, molto abbondanti tra gli animali da pascolo.

Succiacapre in una illustrazione d’epoca (fonte Wikipedia)

Anche l’aspetto del succiacapre, così particolare (la testa grande, piatta e corta, con il becco molto largo, adatto a catturare le prede in volo, circondato da peluria nella sua base, le zampe corte, le ali lunghe con la seconda remigante più lunga, il tarso in gran parte provvisto di penne, il piumaggio perfettamente mimetico) e le sue abitudini diurne e notturne non lo hanno aiutato.

La tendenza, ad esempio, a passare le ore del giorno posato a terra, mimetizzato tra le foglie e in uno stato di simil letargo, ha contribuito a fare del succiacapre un tramite con il mondo dei morti, con il compito di accompagnare le anime dei defunti nell’aldilà. Una sorta di psicopompo (sorte che condivide con altri uccelli, generalmente notturni, come il gufo, o dall’aspetto particolarmente “mostruoso” come l’avvoltoio).

Quanto spesso gli uccelli notturni (gli strigidi innanzitutto, basti pensare al barbagianni o alla civetta e al loro rapporto coi morti) o in generale gli uccelli dall’aspetto ctonio (i corvi) o dal verso sgradevole e “malaugurante” sono stati oggetto di superstizione! Addirittura l’upupa, che di notturno non ha davvero nulla, nei Sepolcri di Foscolo si vede tra i cimiteri di notte “svolazzar su per le croci / sparse per la funerea campagna” (cercherà di riabilitarla Montale nel XX secolo: “Upupa, ilare uccello calunniato / dai poeti”, con ironica rivalsa sulla tradizione poetica, facendole riacquistare, almeno parzialmente, la sua vera natura.

Ma tornando al succiacapre, quanto meglio i francesi con il loro engoulevent d’Europe, “inghiottivento” tradotto letteralmente, per l’abitudine del succiacapre di alimentarsi tenendo l’apertura boccale apert o ancora gli inglesi che lo chiamano churring per il particolare verso che lo rende unico!

Un uccello così straordinario, non poteva non trovare spazio anche tra i grandi autori della letteratura. Howard Phillips Lovecraft non si è lasciato sfuggire l’occasione per menzionare stormi di succiacapre nel suo racconto L’orrore di Dunwich, così come ha fatto anche Stephen King in Jerusalem’s Lot e l’immenso Cormac McCarthy, recentemente scomparso, in Figlio di Dio, nelle ultime righe, fa levare in volo proprio uno stormo di succiacapre.

Non manca nemmeno la letteratura italiana, in versi questa volta: Il caprimulgo è il titolo di una poesia della raccolta Osteria flegrea di Alfonso Gatto – significativo poeta dell’ermetismo – in cui l’invocazione dell’uccello accompagna una meditazione del poeta sulla morte, il venir meno del corpo, la discesa negli inferi.

Terrificante, ctonio, misterioso…. ma soprattutto da tutelare, oggi più che in passato, essendo minacciato anche dalla perdita di terreni dediti alle attività pastorali e dalla pressione antropica crescente!

Testo: Prof. Gip Barbatus

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