Diari – Nel Borneo malese, osservando il difficile rapporto uomo-natura

Quando ho cominciato a pensare e ad organizzare questo viaggio in Borneo, avevo in mente immagini storiche di vecchie avventure lette su polverosi libri quasi dimenticati. In questo modo, riscoprendo alcuni libri fotografici naturalistici, ho cominciato a cerchiare su una mappa i punti di interesse che ritenevo fattibili. Ho escluso sin da subito la scalata al monte Kinabalu – costosetta – dirottando il budget in più giorni per una immersione nella natura della Rain Forest (anche se ricordavo con grande “disgusto” l’assalto subito circa 20 anni fa dalle sanguisughe nel Parco nazionale di Khao Sok Lake in Thailandia).

Così, dopo un giro tra Singapore e Kuala Lumpur, atterriamo a Sandakan, porta di ingresso per la regione malese del Sabah orientale. Qui si viene soprattutto per il Sepilok Orangutan Rehabilitation Centre, che visitiamo 2 volte nella stessa giornata in concomitanza degli orari di alimentazione animali.

Sin da subito abbiamo inteso che questo centro non è uno zoo (per fortuna). Qui arrivano oranghi feriti o orfani da tutto il Paese con l’obiettivo di essere rimessi in natura, cosa che avviene generalmente con successo, visto che capita (e ci è capitato) di avvistarli nelle foreste adiacenti il centro.

Un giovane orango cerca di afferrare del cibo senza perdere il contatto con la madre

Dopo aver visitato anche l’analogo centro di recuperi dei SunBear e aver avvistato diverse specie interessanti (oranghi, varani, i primi buceri e gli immancabili macachi) facendo trekking in zona, ci spostiamo nel Kinabatangan River.

Lungo il tragitto chiacchieriamo con il driver a proposito delle distese di palma da olio e lui con orgoglio nazionalistico ci enumera i guadagni incassati (dalle compagnie private, vorremmo suggerire noi, oltre al fatto che all’interno delle stesse i lavori più pesanti e pericolosi vengono svolti dagli immigrati indonesiani). Ennesima conferma che esiste sempre un sud del mondo più a sud dell’altro.

Ragioniamo anche sul Centro di Sepilok, la cui causa, e allo stesso tempo la parziale buona riuscita, è dovuta proprio alle piantagioni di palma da olio che, disegnando e rimodellando pesantemente ormai i panorami dell’isola, lasciano alla natura solo sparuti territori.

Il Kinabatangan è un fiume che si ramifica in un delta “ricco” di fauna che si raccoglie soprattutto a margine del corridoio forestale intorno alle sue pericolose acque. Qui si organizzano numerosi safari a bordo di lance gestite dai resort e guidate da personale locale che mette a disposizione la propria conoscenza in materia.

Un martin pescatore dalle orecchie bianche (Alcedo meninting), molto diffuso nel Sud-est asiatico

Queste guide, e in genere la comunità locale, sono impegnate in iniziative conservative, come ad esempio nella riforestazione di appezzamenti lungo il fiume o nell’accompagnamento di biologi e studiosi lungo il fiume. Certo si tratta di piccole gocce in un mare di devastazione, ma sono pur sempre iniziative lodevoli che fanno intendere che il turismo non di massa può aiutare anche l’economia locale, ed in un certo senso anche l’ambiente.

Però siamo qui per i safari, per cui ci affidiamo ad orari ferrei e scadenzati per avere successo negli avvistamenti: in barca prima dell’alba, nel tardo pomeriggio e di notte. Il tutto intervallato da brevi trekking mattutini. Ne torneremo più che soddisfatti … innanzitutto per le scimmie Nasica, altra specie endemica del Borneo.

Una inconfondibile scimmia nasica (Nasalis larvatus)

Ma non solo: tra i volatili ammiriamo stupendi martin pescatori, buceri, aquile e trogoni.

Un trogone

Molti degli elefanti della sottospecie che vive solo qui in Borneo con caratteristiche endemiche, diverse anche dai cugini del resto dell’Asia. La loro presenza viene preceduta da rombi che inizialmente non capiamo. La guida ci racconta che, per difendere le remunerative piantagioni, vengono usati dei cannoni a salve.  Solo che ormai i pachidermi sono così assuefatti al rumore che anche i cuccioli dileggiano i sapiens muovendo leggermente la proboscide ad ogni cannoneggiamento.

Un elefante del Borneo

Numerosi i coccodrilli (purtroppo abbiamo assistito ad un attacco ad un cane che chissà per quale motivo aveva deciso di attraversare il fiume), ma a parte loro, non vi è ricchezza di rettili, soprattutto si registra un declino nella presenza dei pitoni, dovuta all’espansione di una sola specie, i macachi. 

Un coccodrillo addenta una preda

In particolar modo la sottospecie dalla coda lunga è riuscita ad abituarsi all’uomo e a sfruttare le occasioni per avvantaggiarsi per il cibo, diventando addirittura specie dominante per la zona. I branchi sono diventati talmente numerosi che nel pattugliamento delle rive in cerca di cibo hanno fatto incetta delle uova dei coccodrilli, ma soprattutto dei pitoni, che con gli altri serpenti hanno preferito “migrare” verso le piantagioni di palma rendendole ancora più pericolose per chi vi lavora.

Tutto ciò è una ennesima conseguenza del dissennato sfruttamento del territorio, quando l’antropizzazione diventa tale da creare delle storture nell’equilibrio del regno animale (analoghe problematiche vi abbiamo raccontato in un altro paradiso, l’Indonesia).

Lasciamo il Kinabatangan per uscire dai classici itinerari e soprattutto per vedere un’isola verde (ormai le foreste sono isole circondate da immense piantagioni, anche se, a dire il vero, c’è l’obiettivo da parte delle autorità locali di creare dei corridoi biologici di interconnessione tra queste “isole”).

Un bucero in volo

Vi sono un paio di destinazioni accessibili nel Sabah; noi scegliamo la Riserva di Tabin, nota soprattutto per possibilità di avvistamento degli elefanti. Arriviamo non prima però di una sosta alla grotta di Gomatong che ci permette di osservare (oltre a numerosi centopiedi e millepiedi) l’uscita serale di decine di migliaia di pipistrelli in formazione di difesa per non farsi attaccare dai rapaci appostati.  Qui a Gomatong, non presa da assalto dal turismo, abbiamo la fortuna di incrociare a pochi metri un orango che, noncurante della decina di persone, si mette in posa per le foto, fintanto che non decide sparire tra gli alberi e trovarsi un giaciglio sicuro per la notte.

Per noi sono previste 3 giornate nella riserva di Tabin seguendo la nostra guida in attività serrate da ante alba a post tramonto (ovviamente i migliori momenti naturalistici).

Qui ci viene mostrata innanzitutto la più grossa sconfitta in ambito di conservazione, ovvero il grandissimo recinto che avrebbe dovuto ospitare gli ultimi esemplari di rinoceronti del Borneo, estinti ormai nella parte Malese. Pochi esemplari resistono in natura nella parte indonesiana dell’isola, ma la “politica” pone dei freni anche alle ricerche scientifiche.

Una scimmia nasica tra gli alberi

Tra i successi invece delle attività della riserva si annovera invece di sicuro l’incremento degli elefanti, che abbiamo la fortuna di ammirare in buon numero. Uno dei segreti di questo successo ci è spiegato dalla presenza di biologi che hanno provveduto all’innesto in natura di una pianta (della famiglia delle graminacee) di cui questi mammiferi vanno ghiotti e che soprattutto li tiene il più lontano possibile dalle piantagioni di palma e dai pericoli che ciò porta in termini soprattutto di “scontri commerciali con i sapiens”.

I safari, soprattutto notturni, ci hanno fatto godere da un lato della quasi assenza di sanguisughe, visto il periodo secco, e dall’altro di concludere il nostro più che entusiasmante book fotografico.

Dagli insetti, ai ragni (una bellissima tarantola in piena posa), ai rapaci diurni e notturni, ai fotogenici buceri, passando ai mammiferi (genette, scoiattoli volanti, un bellissimo maschio di orango…) oltre che il raro e sfuggente gatto leopardo (Prionailurus bengalensis).

Una grossa tarantola

Lasciamo la foresta per tornare in città e per poi un lungo trasferimento prima a Semporna e poi sull’isola di Mabul. Questa ultima parte del viaggio ci permette da un lato di ammirare le meraviglie sottomarine dei coralli (soprattutto di Sipadan, isola resa famosa dai documentari di Costeau) e di immergerci scovando ad ogni angolo tartarughe marine (ne ho contate una quarantina in 5gg), dall’altro, almeno da parte mia, di riflettere sulla fragilità di questo angolo di mondo dimenticato e (quasi) perduto.

Le aspirazioni politiche e commerciali della tigre asiatica malese stanno purtroppo compromettendo in maniera progressiva e apparentemente inevitabile questo paradiso, ma ancora la natura lotta per la sua sopravvivenza.  Affascinanti endemismi (oranghi, nasica, elefanti, solo per fare gli esempi più noti), estesa biodiversità sia in termini di flora che di fauna, parchi e riserve interconnesse tramite corridoi biologici lasciano ancora la speranza che in futuro un turismo realmente sostenibile possa compiere il miracolo (certo si rende necessario in breve tempo un cambio di passo ad oggi purtroppo difficilmente imaginabile).

Grazie di tutto Borneo

Testo e foto di Marco Ciccone

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