Il paradiso del Gran Paradiso. Speciale Valsavarenche. Parte 2

Segue da Parte 1

Due enormi corna si muovono nella neve sotto di noi. No, sono quattro, sei, otto.

Possenti caproni scavano con gli zoccoli nella neve per poi infilarci il muso e pasteggiare con erba, rametti e germogli liberati dalla coltre bianca.

Sono una decina, divisi in gruppetti come fossero degli amici che fanno l’aperitivo in piazza. Ci osservano per qualche istante, scrutano rapidamente le nostre intenzioni pacifiche e si rimettono a mangiare.Avanziamo una decina di metri verso la cascata di ghiaccio e alla nostra destra, anche se attutito dalla neve sentiamo un certo baccano, tre figure a balzi agili che risalgono; in pochi istanti li ritroviamo una cinquantina di metri sopra le nostre teste.

Camosci. Poker d’assi, ci siamo tutti e senza nemmeno inerpicarci chissà dove. Ci guardano dall’alto ma ora sembrano decisamente più rilassati. Qui gli animali sono ormai abituati alla presenza umana, o meglio, sono abituati a non essere predati da noi, quindi sopportano la nostra presenza a debita distanza. Ogni specie ha i suoi parametri che ovviamente variano anche dal periodo dell’anno e dalle relative attività che l’animale sta svolgendo. Il camoscio è più timido, o forse meglio dire saggio, e tende generalmente a mettersi in una posizione vantaggiosa, sopra l’eventuale intruso dove sa che con tre balzi può sparire nel cuore della montagna.

Gli stambecchi invece a patto di mantenersi sul sentiero non si scompongono granché. Questo prato innevato sotto di noi è perfetto per pasteggiare e non vogliono fare la fatica di spostarsi finché noi rimaniamo dove siamo. E’ un do ut des perfetto: loro si fanno fare dei bei primi piani e noi non ci muoviamo da dove siamo.

Ogni tanto masticando fili d’erba innevati ci guardano dritti negli occhi. Sono tutti maschi possenti, le femmine rimangono più in alto anche in questo periodo generalmente, probabilmente perché devono accudire i piccoli e i giovanissimi e non vogliono ancora lasciare le rupi scoscese dove i pericoli fanno più fatica ad arrampicarsi.

Questo scorcio è esattamente il motivo per cui abbiamo scelto di venire in Valsavarenche. La neve che scende, il rumore della cascata, sotto di noi gli stambecchi, sopra di noi i camosci. Non dobbiamo fare altro che stare fermi, parlare a bassa voce e guardare un pò a destra e un pò a sinistra per godere della bellezza di questi erbivori muscolosi e quieti.

Rimaniamo così almeno un’ora, fotografiamo, beviamo del the, ci facciamo una sigaretta (pessimo vizio sì per avvistare gli animali!); gli stambecchi scavano, masticano, ci osservano dal basso; i camosci passeggiano, sgranocchiano qualche arbusto, si riposano nella neve, ci lanciano qualche occhiata dall’alto.

In alto su uno sperone con il binocolo avvistiamo una femmina di stambecco. 

Per cambiare scenario proviamo a inerpicarci di qualche metro nel bosco ma la neve è troppo alta quindi decidiamo di tornare alla macchina e in strada per fermarci a scoprire altri luoghi.

Proseguendo lungo la valle vediamo muri di ghiaccio e bellissimi boschi innevati ma nessun altro avvistamento. Ne abbiamo avuti (e molti) oggi quindi verso sera decidiamo di virare verso l’hotel decisamente in pace.

L’indomani mattina ci aspetta il pezzo forte: un’escursione guidata con uno dei migliori fotografi naturalisti italiani, Marco Colombo, una nostra vecchia conoscenza che rivedremo con piacere dopo diversi anni.

Marco oltre a vincere premi, a pubblicare a raffica eccellenti libri e a fare divulgazione scientifica organizza anche workshop in natura un pò in tutta Italia; è da tempo che cerchiamo l’incastro perfetto per partecipare e finalmente è arrivato il momento.

Alla mattina, dopo la colazione, caricati gli zaini e carichi di aspettative ripartiamo verso Pont, dove la strada finisce e iniziano i sentieri e le piste da sci di fondo. Aspetteremo lì al grande parcheggio Marco e gli altri partecipanti.

La giornata è splendida, nemmeno una nuvola ma il freddo del mattino a stare fermi è decisamente tagliente su mani e piedi, quindi ci incamminiamo verso il bar per un caffè ma proprio in quel momento vediamo passare Marco seguito da un’allegra comitiva, lo raggiungiamo, ci stringe la mano per salutarci e la sua prima frase è “c’è una volpe”. Nella neve a pochi metri da noi una volpe ci osserva, bellissima.

Da buon animale opportunista sta probabilmente finendo il giro di perlustrazione alla ricerca di avanzi di cibo intorno al bar. Le presenze umane ora stanno decisamente aumentando troppo per i suoi gusti quindi, dopo un ultimo sguardo tra lo sconsolato e lo scocciato, si avvia nemmeno troppo rapidamente verso il bosco.

Beh, direi mica male come partenza!

Il gruppo è composto da una dozzina di persone abbastanza eterogenee: ci sono gli appassionati di fotografia naturalistica (sono quelli con gli obbiettivi più lunghi), c’è qualche novizio del genere (che si riconosce dall’attrezzatura più leggera – buon per loro in salita) e qualche “addetto ai lavori” che si occupa di conservazione, biologia e affini (li riconosceremo dalle domande più specifiche durante l’escursione). 

Marco nonostante sia (pure!) guida certificata, per l’occasione, si è fatto accompagnare da Davide D’Acunto una guida specializzata del Parco del Gran Paradiso che fa parte del gruppo Guide Trek Alps; il percorso che affronteremo non è impegnativo ma Colombo, da buon professionista, ha preferito farsi affiancare da un esperto locale che è costantemente informato non solo sugli spostamenti della fauna ma anche sulla situazione del sentiero che in certi tratti è abbastanza esposto a possibili slavine.

Il percorso che affronteremo è il sentiero A4 che porta alle gallerie, gallerie e strada mai finite per fortuna per l’intervento dell’Ente Parco (il progetto iniziale prevedeva la costruzione di una strada che dalla Vallesavarenche portasse alla valle di Rhêmes rovinando la pace di questo angolo di Paradiso).

Inforchiamo le ciaspole e cominciamo a salire tranquilli, godendoci il bianco della neve e il nero dei gracchi alpini che ci sorvolano. Si ripete un poco la scena del giorno prima e dunque bastano pochi minuti per imbatterci nei pressi di un capanno in uno stupendo camoscio. Marco e Davide cominciano, alternandosi, a raccontarci del parco e delle abitudini degli animali che vi risiedono, informazioni preziose e avvincenti che non sto a ripetere a pappagallo qui per non spoileravi un’esperienza che vi consiglio caldamente di fare prima o poi con loro.

Perché Marco e Davide oltre ad essere delle enciclopedie sulla natura, a garantire la sicurezza dell’escursione hanno anche decisamente un altro valore aggiunto: “vedono prima”. Riconoscono le zone migliori, distinguono una roccia color stambecco da uno stambecco a 500 metri di distanza con facilità e prima di tutti noi. E’ come andare a caccia di reperti archeologici con Indiana Jones: si vince facile.

“Ecco lassù il muso di un camoscio, sotto di noi, vicino a quell’albero eccone un altro”.

Ci lasciano il tempo di fotografare i nostri soggetti mentre scrutano altrove per ulteriori avvistamenti.

E’ pur sempre un workshop fotografico e i consigli di scatto da Marco non mancano ma senza mai appesantire il momento con eccessivi tecnicismi, concentrandosi soprattutto su preziosi spunti di composizione o facendoci notare alcuni particolari che rendono la foto decisamente più interessante. Niente roba da “segaioli della reflex” insomma, anche questo un aspetto da me molto apprezzato. D’altro canto l’approccio di Marco lo si intuisce anche guardando ai suoi lavori, dove seppur non manchino le foto “wow”, quelle spettacolari (eccome!), lo spessore è dato soprattutto dalla narrazione, dal gusto, dalla conoscenza dei soggetti e dalla dedizione. Sono queste cose che lo fanno giocare in un’altra categoria rispetto a tanti altri pur bravi fotografi italiani. Ok la smetto di dire quello che pensa altrimenti sembra che mi passi le mazzette…

Continuiamo a salire con calma, il panorama sotto di noi è straordinario, ancora camosci e uno stambecco che si riposa su una roccia. Che spettacolo!

Ma non abbiamo finito. Un sordone sulle rocce si esibisce per noi, colorato, iperattivo e impavido nonostante la nostra vicinanza.

Saliamo ancora fin quasi al punto in cui il cammino è interrotto da una slavina recente, purtroppo non arriveremo fino alle gallerie ma Davide, da buona vedetta di queste montagne ci aveva già avvisato prima di partire. 

Momento di riposo con pranzo al sacco e veduta mozzafiato. Ma ancora una volta non abbiamo finito: poco prima di rimetterci verso la strada del ritorno eccoci ancora nel bel mezzo di un capitolo di Tolkien. “Arrivano le aquile”. All’improvviso, non ricordo nemmeno di chi fosse la voce che ne annuncia la presenza, alzo di scatto lo sguardo, sembrano sbucate direttamente dalla montagna, ci sorvolano imponenti; sono probabilmente due giovani ma la loro apertura alare è comunque impressionante.

Ridiscendiamo a valle. Le silhouette di camoscio sui crinali che incontriamo ora sono decisamente più rare. Si sono spostati altrove, per il caldo probabilmente.

Giunti sulla strada sganciamo le ciaspole, caffè, due chiacchiere coi gracchi e ci mettiamo in carovana con le auto con l’idea di accostarci a bordo strada se vediamo qualcosa di interessante.

Ovviamente questo succede dopo nemmeno due km. Un maschio di stambecco dal fisico erculeo e dalle corna maestose. Scava placido nella neve. Marco mentre ci lanciamo nelle nostre foto ci accompagna ancora con informazioni sulla biologia dell’ungulato e aneddoti vari delle sue scorribande fotografiche.

Soddisfatti proseguiamo fino all’ultima tappa, quella da cui è partito il nostro animal-trip: la frazione di Tignet.

Rispetto a ieri il colpo d’occhio è sempre emozionante ma l’atmosfera è decisamente cambiata. Parte della neve si è sciolta al sole, il cielo è una tavola azzurra e la visibilità è perfetta.

Anche la presenza animale è leggermente cambiata: oggi il numero dei camosci supera quello dei “cugini” stambecchi. Sono sopra di noi. Uno in particolare attira la mia attenzione: con un’espressione soddisfatta si gratta muso e collo contro i rami di una pianta. Seguo attraverso l’oculare della reflex le sue piccole “acrobazie goduriose”. 

Rimaniamo col gruppo un’ultima mezz’ora ad osservare queste creature prima di tornare alle auto, salutarci, ringraziare davvero di cuore Marco e Davide per la splendida avventura e ritornare (ahimè) verso casa.

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