Salendo al Lago Panelatte, tra eriofori e rane rosse

Cerchiamo un’escursione breve, il tempo è poco, una mattinata o poco più. Allo stesso tempo, non vogliamo rinunciare a paesaggi spettacolari e alla possibilità di qualche incontro con fauna in natura. Alla fine la scelta cade sulla Val Vigezzo, in particolare sull’ascesa da Arvogno al Lago Panelatte, un grande classico. Partiamo presto – senza esagerare – per essere all’attacco del sentiero verso le 8.30 ed evitare almeno in parte il caldo che ancora si fa sentire. Così, arrivati ad Arvogno, superato il Rifugio del Moro, continuiamo ancora qualche centinaio di metri in macchina: non amiamo camminare con l’asfalto sotto i piedi. Si può infatti proseguire in leggera discesa con strada asfaltata fino al ponte sul Melezzo, oltre il quale avanzare indifferentemente sulla strada, in questo tratto interdetta al traffico privato, o lungo la mulattiera che si stacca a destra subito dopo il ponte e che incontra nuovamente la strada più in alto.

Cartina della Val Vigezzo

Parcheggiato, si prosegue in falsopiano lungo la sterrata fino ad un altro ponte, sul Rio Verzasco, poi si segue la mulattiera che passa accanto alle baite dell’Alpe Verzasco (siamo circa a 1350 mslm) e in leggera discesa entra nel bosco, per poi riprendere a salire con regolarità. Il sentiero è ben evidente (non per nulla è stato uno dei più importanti percorsi per l’inalpamento del bestiame della zona), la salita comincia a mordere e gli scalini di pietra irregolari a farsi sentire sulle gambe. Si procede nel bosco in questo primo tratto, fino all’alpeggio abbandonato di Villasco (1642 m), dove è presente una fontana. Qui incontriamo uno splendido asino che porta formaggi a valle col suo proprietario. Scambiamo due parole, soprattutto ci informiamo sulla presenza di greggi, vacche e cani da guardiania (siamo con due border collie). Oltre l’alpeggio la mulattiera prosegue nel bosco di abeti, passa accanto ad una presa dell’acquedotto, prima di giungere all’Alpe I Motti (1815 m). A fianco delle ampie stalle, un paio d’asini, un cavallo, qualche vacca. I cani ci sono ma non sono particolarmente aggressivi e siamo comunque tranquillizzati dalla presenza del malgaro. Subito vediamo la scala a gradoni realizzati con grosse lastre in pietra locale, che sale con diversi tornanti fino a raggiungere la Cappella di San Pantaleone (1992 m), situata poco prima del Passo di Fontanalba.

La cappella dedicata a San Pantaleone

La cappella, chiusa da un semplice cancelletto e circondata da inquiete capre al nostro arrivo, deve il suo nome secondo una leggenda vigezzina a un voto fatto da un alpigiano – Pantaleone – che scampò ad un attacco di streghe. La Val Vigezzo è straordinariamente ricca di storie di streghe (strii) e stregoni (planduj). Procediamo e dopo il bosco – in cui abbiamo scorto solo il fugace nascondersi di un camoscio – il sentiero si apre, diventa panoramico e la vista spazia su paesaggi meravigliosi. In particolare la Pioda di Crana appare in tutto il suo nudo splendore.

La Pioda di Crana

Ci ripromettiamo di tornare per salirla. Dalla cappella si continua a salire in direzione Ovest-Nord-Ovest seguendo un evidente sentiero che conduce al Passo di Fontanalba e quindi al Lago Panelatte (2063 m), situato alle pendici del Pizzo del Corno. Siamo saliti senza forzare in 2 ore e 45 minuti. Il laghetto è splendido, incorniciato dagli eriofori bianchi.

Gli eriofori incorniciano il lago di Panelatte

Con grande piacere notiamo una buona popolazione di rana temporaria, soprattutto giovanissimi esemplari già formati che saltano nell’acqua al nostro passaggio.

Una delle giovanissime rane temporarie spostate in acqua per evitare potessero essere schiacciate

È un sollievo constatare la resilienza degli anfibi, messi a durissima prova da inquinamento, cambiamenti climatici e predatori alloctoni (come i pesci presenti nei laghi alpini, rilasciati dall’uomo e presenti anche al Panelatte, come deduciamo da due ragazzi che pescano sulla sponda opposta).

Un individuo adulto di rana temporaria

La rana temporaria, bellissima nella sua livrea, è detta anche rana montana o rossa. Trascorre gli inverni, anche i più rigidi – anche ad oltre 3000 mslm – in lettiere di foglie, anfratti rocciosi, buchi, sotto neve e ghiaccio, per poi riemergere al disgelo tra febbraio e marzo per riprodursi… una fatica che le vale il premio più ambito, la riproduzione.

È ora però di scendere. Mangiamo qualcosa, qualcuno fa un bagno e si riparte. La discesa non è facilissima, facciamo una pausa per acquistare formaggi in alpeggio a I Motti, ci godiamo un gheppio in spirito santo e poi giù, fino alla macchina, per lo stesso sentiero fatto all’andata. La discesa dura un paio d’ore… ne vale sicuramente la pena.

Testo: Prof. Gip. Barbatus – Foto: Lorenzo “Castles” Castelli,  Ivan Vania, Prof. Gip. Barbatus

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