Diari – Trent’anni con i falchi pellegrini del Furlo

La mia ammirazione per i rapaci è da ricercare nella mia infanzia, essendo cresciuto nell’entroterra del Montefeltro. A pochi chilometri da casa si trova il complesso montuoso del Furlo, una imponete gola calcarea attraversata dal fiume Candigliano. Un vero e proprio santuario per i rapaci: infatti da secoli, almeno dal XVI secolo, qui, generazioni di aquile hanno portato avanti con successo nidificazioni. Ma non solo aquile, nelle gole del Furlo nidificano il gheppio, lo sparviero, l’astore, la poiana, il lodolaio, il falco pecchiaiolo ed infine il protagonista del nostro racconto, il falco pellegrino. Ricordo che in un lontano Natale degli anni ‘90 un professore universitario di Anatomia comparata mi fece dono di un libro, vista la mia passione per i rapaci, che parlava di uno scrittore che per dieci anni aveva seguito il falco pellegrino. Lo chiamava “l’inquieto fulgore, quell’ancora che morde le nubi, quella balestra scagliata nell’aria”. Lo lessi in un paio di giorni e rimasi affascinato e allo stesso tempo meravigliato di come si potesse essere così determinati nel seguire un animale. Lo capii presto quando scoprii che una coppia di pellegrini nidificava proprio sulle pareti della gola del Furlo.

Pulli di falco pellegrino nel nido (foto scattata a grande distanza per evitare qualsiasi disturbo antropico)

L’occhio diventò insaziabile di falchi e il tutto sfociò in un’ossessione amorosa. Quello che mi colpì maggiormente fu la descrizione dell’approccio verso il rapace: per essere riconosciuto ed accettato da un falco pellegrino, devi portare la stessa roba, camminare per lo stesso sentiero e compiere le stesse azioni nello stesso ordine. Come tutti gli uccelli, infatti, il falco pellegrino teme l’imprevedibile, mentre accetta con tranquillità quanto riesce a scorgere con chiarezza e da lontano. Ebbene, questa e stata la mia filosofia da quando ho cominciato a studiarne la sua biologia. Nel 1997 trovai il primo nido di pellegrino su un piccolo balconcino di roccia, era esposto alle prime luci dell’alba. La sua sagoma si stagliava sul bordo come una sentinella a proteggere la prole. Solo col tempo riuscii a scorgerlo a prima vista, dato il suo notevole mimetismo con la roccia. Il petto chiaro con tonalità fulve si confondeva col la roccia calcarea, invece se era girato il piumaggio grigio ardesia lo rendeva quasi invisibile. Fu la prima coppia che incominciai studiare anno dopo anno, fino ad arrivare alle tre coppie che monitoro attualmente.

Pullo di falco pellegrino imbeccato dal genitore (foto scattata a grande distanza per evitare qualsiasi disturbo antropico)

Sono passati trent’anni e da allora ho visto tanti pellegrini involarsi e ancora oggi è come la prima volta con la sola differenza che da diversi anni dispongo di una attrezzatura che mi permette di filmare e documentare ogni nidificazione delle tre coppie. Una in particolare mi permette anche di documentare tutta la stagione riproduttiva, dal corteggiamento fino allo svezzamento dei giovani nel completo rispetto della specie. Non esiste giustificazione, neanche la ricerca scientifica, perché gli animali vengano stressati dalle continue visite per raccogliere informazioni. Tutto deve avvenire nella totale tranquillità del rapace.

Falchi pellegrini adulti al nido (foto scattata a grande distanza per evitare qualsiasi disturbo antropico)

A supporto di questo, mi avvalgo della tecnica del digiscoping, che sfrutta gli alti ingrandimenti del cannocchiale e di un semplice supporto di registrazione. Tutti gli anni tra gennaio/febbraio si comincia il monitoraggio delle coppie seguendo i primi corteggiamenti del maschio nei confronti della compagna. Essa, posata su di un una roccia o un ramo secco, lo chiama ripetutamente e lui se è nei paraggi non si fa attendere. Lo si scorge in volo con la sua inconfondibile silhouette e con il suo verso rauco e cantilenante. Avviene in volo lo scambio del dono, il maschio lascia cadere la preda e la femmina la afferra con gli artigli portandola in un luogo riparato e lontano da sguardi indiscreti. Questo rituale può durare diverse settimane, fino a che la femmina, aumentata di peso, decide – dopo aver scelto il nido – di deporre il primo uovo due giorni dopo ogni accoppiamento. Il nido nei pellegrini è molto spartano, in quanto i due adulti non portano materiale esterno ma si limitano a creare una depressione raspando con le zampe la nuda roccia. La femmina depone di solito 4 uova ed incomincia ad incubarle dal terz’ultimo. Questo permette ai pulli di nascere quasi tutti in pochi giorni, con una schiusa sincronizzata che non crea differenze di dimensioni. Il controllo lo si effettua a schiusa avvenuta dopo 28/32 giorni. Si percepisce la nascita dei pulli per la postura della madre che si posiziona con il corpo molto appiattito e con le ali semiaperte. Durante l’incubazione il compagno sostituisce la femmina solo poche ore al giorno, dandole modo di sgranchirsi e mangiare qualcosa. È lui che provvede a cacciare per lei e i piccoli. La crescita di solito avviene senza problemi, solo il cattivo tempo primaverile in un nido poco riparato può creare difficolta ai pulli.

I pulli crescono, e crescono bene (foto scattata a grande distanza per evitare qualsiasi disturbo antropico)

Le prede fornite dal maschio si limitano a piccoli passeriformi o a prede poco più grandi come tortore. Poi, crescendo, i pulli necessitano di più cibo ed ecco che la femmina, di dimensioni più grandi, mette in campo la sua forza e cominciano ad arrivare al nido anche prede più consistenti: tra le prede più ambite ci sono allora colombacci e piccioni selvatici. I giovani crescono velocemente, nel giro di 40/42 giorni. Il nido è disseminato di resti di prede, penne, piume, e da questi il mio compito e di capire la specie a cui appartengono. L’involo dei giovani avviene scaglionato nel giro di una settimana. Si possono avvertire i loro versi persistenti all’indirizzo dei genitori che ancora provvederanno a supportarli con il cibo e ad addestrarli alle varie tecniche di volo e di caccia che gli serviranno una volta autonomi.

L’adulto di falco pellegrino provvede alle necessità alimentari dei pulli (foto scattata a grande distanza per evitare qualsiasi disturbo antropico)

Infatti, dopo l’involo documento spesso i giochi aerei effettuati dai giovani che si riveleranno utili una volta indipendenti. Ecco, questo è quello che faccio dal 1997, ininterrottamente. Questa mole di dati mi è tornata utile per effettuare una pubblicazione  su un autorevole rivista scientifica “ Avocetta” proprio sui falchi pellegrini, coronando il sogno di tanti anni di dedizione a questa specie. Da diverso tempo non sono più solo perché l’ossessione amorosa che mi ha contagiato tanti anni fa ha portato alla creazione di un gruppo di appassionati i “Birders”. Ora il monitoraggio si è allargato anche fuori del Furlo ma sempre con la stessa filosofia. Questo gruppo si è formato  in primis per la passione  che ci accomuna, cui è seguita una vera e propria amicizia. Siamo tutte persone che, a vario titolo, hanno competenze specifiche su fauna, etologia, entomologia e botanica. Passiamo molto tempo nei weekend a divulgare le nostre esperienze personali supportate da video e foto realizzate sul campo all’interno della riserva naturale statale “Gola del Furlo”, per la gioia dei bimbi e degli adulti. Ecco come un falco elevato a divinità da popoli antichi continua ancora oggi ad essere simbolo di forza, potenza, bellezza. Ha ispirato ingegneri con le sue prestazioni aeree, movimenti ambientalisti dopo il tracollo della specie  avvenuto a causa del Ddt e in ultimo la gioia di noi Birdes che ogni giorno possiamo ammirare questa stupenda creatura che non chiede nulla in cambio, se non di continuare la sua esistenza come fa da migliaia di anni.

Testo di Maurizio Saltarelli

Foto di Massimiliano Martinelli

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